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Verrà dal Mercato unico la ripresa economica dell’Ue? L’analisi di Zecchini

Un simile mercato completamente integrato tra i Paesi europei è sufficiente a produrre una crescita sostenuta, particolarmente nel contesto attuale di tensioni economiche e politiche nei rapporti tra blocchi di Stati? Salvatore Zecchini parte da alcune analisi teoriche e da qualche simulazione sui benefici che ne possono derivare in termini di maggiore prosperità e benessere sociale (welfare)

L’economia dell’Ue sta faticosamente uscendo da una debole fase congiunturale, che ha segnato un crescente ritardo rispetto all’espansione dell’economia americana. L’economia italiana non fa eccezione a questa lenta ripresa, sebbene abbia mostrato dall’inizio del decennio una dinamica superiore a quella dei maggiori partner nell’area dell’euro. Per l’anno in corso la Commissione europea prevede un’espansione del Pil dell’area dello 0,8% e dell’1,4% il prossimo anno, con un aumento lievemente più rapido in Italia dello 0,9% soltanto nel 2023. A confronto, l’economia americana appare crescere con stabilità pur in una fase di restrizione monetaria, lasciando prevedere un incremento del 2,4% nell’anno in corso dopo il 2,5% dello scorso anno.

Un rallentamento congiunturale è scarsamente indicativo delle linee di tendenza dei redditi nazionali nel medio periodo, pur potendo incidere sul potenziale di crescita se si prolungasse per qualche anno, producendo una riluttanza delle imprese ad investire e delle famiglie a spendere, con possibili perdite di capacità produttiva. Un simile scenario non può non sembrare inquietante nell’Ue, al pari che in Italia, in un periodo in cui le economie avanzate dell’Occidente sono impegnate, da un lato, in una sfida tecnologica innescata dai progressi delle scienze, in particolare il digitale, e dall’altro lato, in gravi tensioni geopolitiche.

Nel nostro Paese le attese di una solida ripresa sono essenzialmente imperniate sul ruolo propulsivo dell’attuazione efficace delle misure del Pnrr in un contesto di allentamento della stretta monetaria della Bce. Nell’Ue lo sguardo va oltre per prendere in considerazione altre forze trainanti che possano garantire nei prossimi anni una forza competitiva, un ruolo di punta nello scenario globale e una indipendenza strategica nella prospettiva di una prosperità crescente. Questi sono i propositi enunciati in primo piano nelle conclusioni dell’ultimo Vertice europeo tenutosi ad aprile scorso. Questo disegno è declinato in una serie di azioni da portare a compimento da parte della Commissione e dei Ministri nel quadro di un Nuovo Patto per la Competitività. Al centro viene posto il completamento o approfondimento del Mercato unico (Mu) mediante la realizzazione di un programma che ricalca in diverse parti le proposte tracciate nel Rapporto Letta, presentato al Consiglio.

Diversamente dalle consuete problematiche della concorrenza nel mercato interno all’Unione, la nuova visione del Mu spazia su quasi tutti i campi che ne sono attualmente fuori, traendone la ratio dal grande cambiamento di contesto economico e politico avvenuto dagli anni 80 quando fu lanciato. La chiave di volta della strategia è posta nell’approfondire l’integrazione dei mercati nazionali nell’ambito del Mercato Unico attraverso l’eliminazione di tutte le barriere che ancora sussistono. Ma qui sorge l’interrogativo se un simile mercato completamente integrato tra i Paesi europei è sufficiente a produrre una crescita sostenuta, particolarmente nel contesto attuale di tensioni economiche e politiche nei rapporti tra blocchi di Stati.

L’assunto è suffragato da alcune analisi teoriche e da qualche simulazione sui benefici che ne possono derivare in termini di maggiore prosperità e benessere sociale (welfare). Un recente studio di economisti del Fmi riconosce che una risposta europea in senso protezionistico come reazione alle misure protezionistiche di altri paesi particolarmente rilevanti comporterebbe perdite di reddito, considerata la grande dipendenza dell’area dagli scambi commerciali con l’esterno. Nondimeno, un certo grado di protezione del mercato interno per ragioni di sicurezza e di riduzione mirata del rischio di dipendenza, se congiunto con una maggiore integrazione nel Mu, permetterebbe di resistere meglio agli effetti negativi del protezionismo e della deglobalizzazione economica. Pertanto, si suggerisce di abbattere nel Mu tutte le barriere alla circolazione del lavoro, dei capitali e dei servizi, realizzare l’unione finanziaria e bancaria, armonizzare imposte e sovvenzioni, condividere i costi degli shocks e limitare le misure di politica industriale ai casi di “fallimento del mercato”.

È facile scorgere in queste analisi la loro astrattezza ed inapplicabilità nella realtà attuale. Le loro conclusioni si basano. in specie, su mercati altamente concorrenziali, alta mobilità dei fattori produttivi, tempi brevi per gli aggiustamenti dei soggetti economici, pochi costi di adattamento nella transizione e appartenenza a uno Stato coeso al di sopra delle autorità nazionali. Da queste ipotesi si ottengono stime econometriche di risultati positivi. Nulla di tutto questo è osservabile nella realtà, perché a monte del Mu non vi è un unico Stato, le differenze strutturali, sistemiche e culturali tra i membri sono notevoli e i costi di aggiustamento rilevanti.

In questa fase storica si può realisticamente immaginare di andare ancora avanti verso obiettivi di una maggiore integrazione economica, ma solo nella misura in cui tutti i membri ne ricavino benefici e che si avanzi per gradi e nei limiti consentiti da un’integrazione economica avulsa da una unità politica dell’Ue, che non è condivisa da tutti. Le decisioni dell’ultimo Vertice rispecchiano questa impostazione e nello stesso solco si muove il Rapporto Letta, che ha tutti gli ingredienti per presentarsi come un piano di politica industriale. In particolare, l’obiettivo del piano è contribuire a costruire una politica industriale europea “dinamica ed efficace”, che oltrepassa i temi della concorrenza in un mercato limitato ai beni e servizi per abbracciare i servizi finanziari, il settore energetico e la connettività digitale.

La priorità iniziale è superare la segmentazione dei mercati dei capitali nazionali per costituire un’Unione dei risparmi e degli investimenti che permetta di convogliare un flusso più consistente di risorse nel sostegno dei progetti per le transizioni energetica e digitale e per perseguire gli altri obiettivi strategici. La motivazione è data dal costatare che annualmente le famiglie preferiscono investire al di fuori dell’Unione 300 miliardi di risparmi. Questa motivazione appare debole per diversi motivi. Attualmente i soggetti privati investono in titoli obbligazionari ed azionari emessi e trattati in mercati di altri Stati membri. Questi flussi sono, tuttavia, frenati dalla diversità dei regimi che regolano le società e i mercati. Se la preferenza si indirizza anche verso il mercato americano o inglese, questa è dovuta alla maggiore convenienza di questi investimenti rispetto a quelli all’interno.

La convenienza è data, tra l’altro, dalla maggiore redditività, la facilità di operare su quei mercati, la loro liquidità, il costo competitivo, le tutele offerte e soprattutto il vigore della crescita americana. Se l’unificazione finanziaria e quella bancaria non poggiano su condizioni simili, i risultati sono destinati a rimanere modesti. L’armonizzazione delle regole su standard più convenienti per gli operatori richiede un’armonizzazione delle normative nazionali finanziarie e fiscali almeno su un nucleo di base comune.

Questo avanzamento è in discussione a livello di governi da decenni e i progressi sono stati finora minimi a causa dell’opposizione di alcuni paesi che perderebbero i vantaggi dell’avere sistemi più convenienti di quelli dei partner. Tra le altre priorità da affrontare è indicato il problema del deficit dimensionale delle compagnie europee e del rapporto con le norme per la concorrenza e la disciplina degli aiuti di Stato. Le imprese europee non solo presentano dimensioni mediamente inferiori a quelle dei maggiori concorrenti di altri continenti, ma l’aggregazione in “campioni” di dimensioni comparabili ai giganti esterni viene ostacolata dalla disciplina della concorrenza sul mercato interno e dalla limitazione dei sostegni pubblici.

Il Rapporto Letta sottolinea il problema ma non offre soluzioni adeguate. Propone, in particolare, di introdurre il metro del mercato globale nel valutare se una fusione che dia origine a un campione possa alterare la concorrenza sul mercato globale piuttosto che basarsi sul solo mercato europeo. Prospetta altresì che al maggior spazio concesso per l’erogazione di aiuti diretti a fronteggiare la competizione con i grandi attori esterni all’area si accompagni l’obbligo per lo Stato di destinare una porzione delle risorse al finanziamento di progetti europei a vantaggio di tutti i membri. Questa soluzione, seppur ragionevole, ha poche probabilità di approvazione a causa dell’opposizione di diversi paesi a espandere le risorse messe in comune, oltre che ad ampliare il ruolo dell’Ue nelle loro politiche industriali.

Uno dei pilastri del piano è l’introduzione della “libertà” di innovazione, ricerca, condivisione dei dati, apertura dei risultati scientifici (open science) e movimento dei ricercatori. Sotto questa fumosa etichetta si prospetta la creazione di una Comunità Europea della Conoscenza, consistente in una piattaforma per la condivisione di quanto attiene al mondo della R&I, inclusa la componente di istruzione e formazione. Si affiancano interventi per armonizzare le norme nazionali sui dati e disporre norme europee, programmi europei per potenziare le competenze e le infrastrutture di ricerca e computazionali, e linee guida per una ricerca “responsabile”. Sono proposte su cui è difficile costruire un consenso tra i membri dell’Ue e carenti nel disporre il necessario supporto finanziario. La premura nel prevedere nuove norme europee contraddice con l’esigenza di semplificazione e di sfoltire l’eccesso normativo che smorza le forze innovative.

Sulla semplificazione normativa e burocratica si indicano diversi interventi, tra cui risalta la creazione di un Codice Europeo di Diritto dell’Impresa, che nelle intenzioni dovrebbe riorganizzare, ridurre e compattare la normativa europea e in alcuni campi addirittura innovare e sostituirsi a quella nazionale, mentre in altri si affiancherebbe. Di grande portata in questo ambito è la proposta di una struttura legale per consentire la costituzione di una Società Europea Semplificata, che possa operare in tutta l’Ue. Ai soggetti economici si darebbe la facoltà di scegliere se attenersi al nuovo codice, oppure alla normativa nazionale. Il Rapporto riconosce che si tratta di un obiettivo di lungo periodo, ma appare molto ambizioso, particolarmente laddove suggerisce di intervenire in anticipo per ridurre la complessità derivante dalle differenti legislazioni nazionali in tema di servizi e di tassazione, complessità che rende difficile e costoso per le imprese operare al di là dei confini nazionali entro il Mu. In realtà, dietro la complessità si nasconde l’intento degli Stati di proteggere le loro imprese e il loro lavoro, protezione a cui non si rinuncia in assenza di sostanziose contropartite.

Diversamente, per l’obiettivo di un mercato unico dell’energia l’attenzione è concentrata sullo sviluppo delle reti di interconnessione tra i paesi e sulla costruzione di una reciproca fiducia tra i membri sulla possibilità che in caso di crisi si possa contare su una concreta solidarietà nel condividere le risorse energetiche. Il potenziamento delle infrastrutture è un elemento essenziale per procedere verso il Mercato Unico dell’Elettricità ed integrare l’apporto delle energie rinnovabili. Per la realizzazione del progetto occorrono finanziamenti che eccedono quanto il bilancio comunitario e gli altri strumenti finanziari in essere possono impegnare.

Si propone, quindi, una collaborazione con gli investitori privati, un Fondo dedicato al finanziamento delle infrastrutture di connessione tra paesi e una Agenzia per la Fornitura di Energia Pulita con compiti di assistenza ed agevolazione dei progetti nazionali. È apprezzabile che si riconosca l’urgenza di avanzare nelle realizzazioni e che si tracci una tabella di marcia per i prossimi anni. L’unificazione dei mercati nazionali in uno Unico europeo delle Comunicazioni Elettroniche è preminente anche in un settore in cui le diversità di discipline tra paesi ostacolano la formazione di grandi operatori su scala europea. Questi sono giudicati necessari per realizzare i massicci investimenti tecnologici richiesti per offrire ai consumatori quell’ampiezza di servizi digitali che chiedono e per affrontare i concorrenti esterni all’Ue.

In mancanza di un’armonizzazione regolatoria è difficile per gli operatori disporre di un mercato europeo talmente grande da far generare le risorse per sviluppare l’offerta di servizi. In tali condizioni viene prospettato un cammino verso il mercato unico che vede l’attuale sistema regolatorio evolvere verso uno a due livelli. Quello europeo si occuperebbe della coerenza tra normative nazionali e avrebbe la responsabilità per i servizi transnazionali, mentre le problematiche interne ai mercati nazionali rimarrebbero di competenza delle autorità indipendenti del paese. Resterebbe, tuttavia, da verificare la compatibilità di tale approccio con la disciplina sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza.

Il piano di Letta e le indicazioni del vertice di aprile toccano anche altre iniziative in settori diversi, compresa la difesa comune, quasi in un catalogo di quanto servirebbe, ma non di quanto è fattibile in questo decennio. Tutti questi elementi compongono il quadro delle condizioni necessarie per compiere quel salto di competitività su cui si dilungherà il rapporto di giugno. Giustamente il programma di Letta si chiude col richiamo alla volontà politica dei governanti di avanzare con decisione ed efficacia nella costruzione di un’Unione più dinamica e competitiva. In assenza di quella volontà si continuerà con i piccoli passi come nel passato decennio. Ma anche se si avverasse, probabilmente non verrebbe da questo piano la spinta tanto attesa a una crescita sostenuta nel breve orizzonte del prossimo triennio.

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