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Ecco perché le Svalbard possono essere il tallone d’Achille della Nato

L’importanza strategica dell’arcipelago norvegese lo rende un bersaglio molto appetibile per Mosca. Che potrebbe sfruttarlo anche nel tentativo di stressare frizioni interni all’Alleanza Atlantica

Negli ultimi mesi, complice gli allarmi lanciati dai servizi d’informazione dei singoli Stati-membri, i timori dell’Alleanza Atlantica nei confronti di una possibile operazione militare russa diretta verso territorio Nato si sono accresciuti notevolmente. Dall’Estonia alla Finlandia, fino all’isola di Gotland che domina il Mar Baltico, sono molteplici i luoghi in cui il temuto scenario potrebbe concretizzarsi. Compreso un lembo di terra, tanto piccolo quanto strategico, ai margini più estremi dello spazio atlantico.

Posizionato tra i 74 e gli 81° di latitudine nord, l’arcipelago delle isole Svalbard rappresenta non solo la parte di territorio più settentrionale della Norvegia (esso dista circa mille chilometri dall’heartland norvegese), ma anche il luogo abitato più a nord sull’intero pianeta. Storicamente utilizzato come avamposto per le spedizioni nell’Artico, con la crescita di importanza strategica registrata da quest’ultimo durante gli ultimi anni per via dello scioglimento dei ghiacci causato dal cambiamento climatico è parallelamente cresciuto anche l’interesse degli attori più o meno ostili verso di esso. Mosca compresa, ovviamente.

A caratterizzare ulteriormente la situazione dell’arcipelago polare è il Trattato che prende il nome dalle isole stesse, firmato nel 1920 da quarantasei Paesi diversi (ma non dall’Unione Sovietica), il quale prevede la smilitarizzazione delle Svalbard. Questa condizione ha fatto sorgere dei dubbi all’interno della Nato sul fatto che, nel caso di una mossa russa, si porrebbero in essere le condizioni necessarie per l’attivazione dell’Articolo 5 del Trattato di Washington. Il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg ha ripetuto in più occasioni che qualsiasi attacco alle Svalbard sarebbe stato trattato come un attacco all’Alleanza nel suo complesso, e quindi avrebbe innescato una risposa collettiva. Tuttavia la sua nazionalità norvegese e le sue parole sembrano riflettere le speranze di Oslo più che la posizione di tutti i Paesi della Nato. Molti membri dell’Alleanza, compresi gli Stati Uniti, non hanno adottato una posizione inequivocabile. Così, in caso di crisi, Putin potrebbe essere tentato di mettere alla prova l’Occidente in un luogo a cui pochi hanno pensato.

Le Svalbard ospitano anche una minoranza russa consistente, nonostante la decrescita degli ultimi anni: all’inizio del nuovo millennio c’erano quasi 4.000 russi, la maggior parte dei quali era impegnata nell’estrazione del carbone; tuttavia con la chiusura di queste miniere il numero è oggi sceso a meno di 700. Nell’estate del 2022, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, questa comunità è stata all’origine di una crisi diplomatica (risoltasi poi senza conseguenze) quando Oslo ha dichiarato che avrebbe limitato la capacità di Mosca di rifornire la comunità russa delle Svalbard, scatenando l’indignazione di Mosca, con alcuni parlamentari russi che hanno suggerito di ricorrere a mezzi militari per difendere i diritti sanciti dal trattato del 1920.

Sviluppi di questo tipo sembrano, come nota Paul Goble, ormai alle porte, come conseguenza di una straordinaria combinazione di dinamiche. A partire dalla crescente proiezione di potere dell’Occidente nell’Artico, a cui il Cremlino ritiene che la Russia non abbia altra scelta se non quella di opporsi per difendere l’ingresso alla rotta del Mare del Nord e sostenere le sue ampie rivendicazioni sui fondali artici. Vi è poi una dimensione giuridica, con un numero sempre maggiore di funzionari russi a stressare il fatto che la Norvegia ha permesso all’Occidente di militarizzare le Svalbard e quindi ha perso il diritto di rivendicare la sovranità sull’arcipelago.

Inoltre, la Federazione Russa ha ottenuto il sostegno esplicito della Repubblica Popolare su questo tema: Pechino ha infatti chiesto lo sviluppo di un deposito di semi in Russia per sostituire quello già esistente nelle Svalbard, qualora venisse danneggiato, inviando nello stesso frangente una nuova spedizione di ricerca nell’arcipelago norvegese. A questi fattori si aggiungono la crescita della domanda internazionale di carbone, che potrebbe rendere nuovamente profittevole l’estrazione dalle miniere dell’arcipelago.

In un recente approfondimento del Nato Defence College, Shawn Leonard ha provato a ipotizzare lo svolgimento di un fait accompli russo alle Svalbard, in seguito al quale si verifica una frattura interna all’Alleanza Atlantica: mentre gli Stati Uniti, la Norvegia, il Regno Unito e i Paesi Nordici si schierano a favore della riposta militare, i membri dell’Europa continentale mantengono la posizione contraria. Per evitare un simile scenario, la Nato deve adottare una posizione comune sulla difesa delle Svalbard da qualsiasi attacco russo. Se non lo farà, aumenterà solo la probabilità che Putin prenda di mira questo arcipelago isolato come prossimo passo nella sua campagna per indebolire l’Occidente.

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