Lo scenario internazionale è drammaticamente cambiato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, richiedendo alla comunità amministrativa e degli addetti ai lavori una profonda riflessione sulle future sfide della Nato. Ad Airpress riflettono su questi temi l’ambasciatore Francesco Maria Talò e il professor Massimo de Leonardis
Di fronte alle sfide che attendono nel prossimo futuro la Nato, un dibattito allargato al mondo della ricerca, delle università, oltre che agli addetti ai lavori, permette di avere uno sguardo più ampio sulle criticità e le minacce che l’Alleanza Atlantica si troverà ad affrontare. Una riflessione preziosa anche in vista del summit Nato di luglio a Washington. Di questo si è parlato nel recente convegno “I settantacinque anni della Nato. Eredità storica e nuove sfide”, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Airpress ha intervistato due dei suoi protagonisti, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, già rappresentante permanente d’Italia al Consiglio atlantico e consigliere del ministro della Difesa, e il professor Massimo de Leonardis, docente di Storia delle relazioni internazionali all’università Cattolica e presidente della International commission of military history.
Ambasciatore Talò, in quale contesto strategico si trova a muoversi attualmente la Nato, e quali sono le sfide del prossimo futuro?
Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un cambiamento enorme dello scenario, causato dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Questo ha costretto la Nato a cambiare in corsa il modo di concepire la propria postura, evidenziato in particolare dalle decisioni prese in merito al nuovo Concetto strategico. Ormai si è quasi dimenticata l’origine di quel documento, conseguenza della provocazione del presidente francese Macron, che parlò di “morte celebrale della Nato”. Quel Concetto strategico ebbe una gestazione abbastanza lunga, terminata nel 2022 a Madrid, pochi mesi dopo l’attacco russo. Tutto questo ha imposto alla Nato di inforcare delle “lenti progressive”.
Ci spieghi…
La Nato fino al 2021 riteneva di poter guardare alle sfide del XXI secolo nei termini della grande trasformazione tecnologica, della necessità di avere una visione globale, pur rimanendo un’alleanza regionale, con uno sguardo allungato fino all’Indo-Pacifico e alla competizione con la Cina. All’improvvisto rispetto a questa visione lunga, con una prospettiva pluridecennale, l’attacco russo ha riportato l’attenzione della Nato al suo immediato vicinato, nonché indietro di anni, con una guerra convenzionale fatta di carri armati e addirittura trincee. Come Alleanza, siamo tornati a mettere al centro la deterrenza, la difesa e la sicurezza collettiva. Se questo ha dimostrato che la Nato era tutt’altro che morta cerebralmente, e anzi, era più viva che mai, ha anche dimostrato le numerose sfide che l’attendono.
Questi temi sono stati, tra gli altri, anche al centro dell’evento all’università Cattolica di Milano a cui lei ha partecipato. Qual è stato il significato dell’iniziativa?
Il merito principale dell’evento è stato quello di fare una sintesi tra gli operativi – come per esempio il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che tra l’altro a breve assumerà la guida del Comitato militare Nato, e l’ambasciatore Marco Peronaci, mio successore quale rappresentante permanente presso il Consiglio atlantico –, gli ex-operativi, che dalla loro hanno l’esperienza e qualche libertà in più – come l’ambasciatore Piero Benassi e il sottoscritto – insieme soprattutto a docenti e ricercatori provenienti da diverse università. Nell’insieme, è importante sottolineare come non si sia trattato solo di una commemorazione, ma siano stati trattati temi centrali dell’agenda atlantica.
Per esempio?
Una sezione importante è stata dedicata alla Cina. Come ho sottolineato proprio intervenendo alla giornata, rispetto ad altre commemorazioni del passato, di carattere più riservato e per gli addetti ai lavori, questa serie di riflessioni accademiche hanno toccato temi d’interesse, rischi e minacce estremamente concrete e tangibili anche per la vita quotidiana dei cittadini. Un tema centrale è stato, infatti, quello delle spese per la difesa, approcciando al classico dilemma “burro o cannoni”. Oramai ritengo che il dilemma debba essere affrontato pensando che se non proteggiamo le nostre scuole e ospedali, in altre parole, se non investiamo in difesa, il benessere sociale ed economico non può essere garantito.
Tra i promotori dell’iniziativa c’è stato il professor Massimo de Leonardis. Professore, ci tracci un bilancio dell’evento…
Innanzitutto è importante premettere che non si è trattato di un evento estemporaneo. Abbiamo una tradizione, qui al dipartimento di Scienze politiche della Cattolica, e in particolare per quanto riguarda la mia cattedra, che risale agli anni Ottanta, di occuparci e riflettere sull’Alleanza Atlantica. I nostri convegni, dunque, hanno sempre visto un mix di studiosi, professori, ricercatori, affiancati da militari e diplomatici che hanno svolto incarichi, o che tuttora ricoprono funzioni, nella Nato. L’obiettivo di questi convegni, poi, è sempre quello di pubblicare gli atti e diffonderli, in particolare tra gli studenti, tra i quali potenzialmente alcuni potranno un domani ritrovarsi a doversi occupare di Nato.
Quali sono stati gli elementi innovativi emersi nel corso del convegno?
L’attenzione si è rivolta soprattutto alla Russia e all’Ucraina, e l’analisi si è concentrata in particolare sulla possibilità di concludere una pace “giusta”. Purtroppo la storia è piena di esempi di paci che hanno dovuto tener conto di realtà sgradevoli e quindi violare i principi di giustizia. Ad esempio nel 1939 la Polonia – Paese molto vicino all’Ucraina – fu invasa da tedeschi e sovietici, e nel 1945 non ebbe una pace giusta, anche se la Seconda guerra mondiale era scoppiata proprio per difenderla. Questo non vuol dire che Kyiv debba cedere parti di territorio, ma che bisogna ragionare tenendo presente le complessità e le realtà della minaccia. Altro tema importante è stato anche il tipo di approccio che si dovrebbe avere verso la Cina, e se costituisca o meno una minaccia per la Nato. Infine, il dibattito ha visto un confronto serio sulla Difesa europea, tra un approccio minimalista e uno massimalista nei confronti della relazione con la Nato. La dicotomia vede da una parte l’idea di una complementarietà tra le due organizzazioni, e dall’altra l’idea invece di una completa alterità e autonomia dell’Ue dalla Nato e dagli Stati Uniti. Su questo tema, però, posso dire che a giudizio della stragrande maggioranza dei partecipanti al convegno, non è pensabile immaginare una difesa europea altra rispetto al Patto Atlantico.