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Così si potrà evitare il terzo anno di guerra in Ucraina. Parla Minuto Rizzo

Intervista con il presidente della Nato Defense College Foundation: “Noi parliamo tanto sul piano dei principi ma poi in realtà di armi in Ucraina ne arrivano meno di quante ne hanno bisogno, e arrivano sempre un attimo dopo. E sono molte meno di quello che noi pensiamo. Non è la Nato che invia le armi: sono i singoli Paesi che decidono per quell’invio”

L’equivoco in cui cascano tutti è che se Stoltenberg dice una cosa, significa che lo ha detto la Nato: non è così. Questa la posizione espressa a Formiche.net dall’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, secondo cui gli armamenti sono stati inviati da tutti, Usa compresi, alla Repubblica Ucraina perché si difenda da un’aggressione russa ma queste armi non vanno utilizzate sul territorio russo perché si correrebbe il rischio di un allargamento del conflitto. “Io non vedo l’Ucraina dentro la Nato a breve termine, lo dico francamente e non sono sospettabile di essere anti-Atlantico”.

Il ragionamento fatto sull’Economist dal segretario generale della Nato sull’Ucraina significa che l’unico modo per indurre la Russia alle trattative e quello di imporle con la forza?

Dobbiamo sezionare questo tema e vederlo sotto tutti i suoi aspetti se vogliamo essere seri. La prima osservazione da fare è che le reazioni da parte dei partiti italiani dipendono dalla posizione politica del partito e non tanto dalle dichiarazioni di Stoltenberg. Mi riferisco ai finti pacifisti che non appartengono alla famiglia delle reazioni tecniche. Se andiamo a esaminare i fatti, da analisti, emerge un tema prima di altri: l’Ucraina è in difficoltà sul campo di battaglia. Tutti sanno che l’Ucraina è un Paese di freschissima indipendenza quindi con un esercito appena costituito e che, rispetto alla Russia, come calcolo approssimativo può essere 1 a 5.

Ovvero?

Ciò mette in luce una fortissima discrepanza: è una provincia, come se fossero la Sicilia e la Sardegna rispetto al resto d’Italia. Per completezza va aggiunto che il dibattito politico sull’invio di armi è acceso in ogni Paese ed è giusto che sia così nei Paesi democratici: ma l’intensità della discussione interna non ha relazione con l’effettivo arrivo di armi in Ucraina. Per cui noi parliamo tanto sul piano dei principi ma poi in realtà di armi in Ucraina ne arrivano meno di quante ne hanno bisogno gli ucraini e arrivano sempre un attimo dopo. Queste armi di cui si parla tanto sono molte meno di quello che noi pensiamo. Un aspetto credo molto importante da sottolineare.

Per quale ragione?

Perché a volte sembra che vi sia ogni giorno un carico che sta partendo su cui decidere. In realtà il dibattito politico c’è, ma le armi a Kyiv arrivano tardi e sono meno di quelle che servono. Il secondo punto riguarda Stoltenberg: scadrà il prossimo 30 settembre e magari con quelle parole forse ha inteso lasciare ai posteri dei messaggi precisi, anche se nessuno lo sa con esattezza. Ma l’equivoco in cui cascano tutti è che se Stoltenberg dice una cosa, significa che lo ha detto la Nato: non è così.

Perché?

Conosco bene questa materia, perché sono stato vicesegretario per sei anni e mezzo. Il segretario generale presiede il Consiglio, ma chi decide sono gli Stati membri all’unanimità: questo bisogna sempre ricordarlo quando si parla di Nato. Ho ascoltato il ministro degli Esteri Antonio Tajani parlare di collegialità e ha ragione: è proprio scritto nello Statuto che la Nato decide solo per consenso. Stoltenberg espone giustamente le sue idee, giuste o sbagliate che siano, ma non è la Nato che parla e non è la Nato che invia le armi: sono i singoli Paesi che decidono per quell’invio. Si tratta di una distinzione che può sfuggire ma è importante: in generale non vi è una decisione del Consiglio della Nato: per noi e per tanti altri Paesi è un tema delicato però non è un tema esistenziale. Cito la Polonia e i tre Paesi baltici, ma direi anche l’Inghilterra dei conservatori: questi sono Paesi che invece hanno l’idea che la Russia è un avversario che si può vincere soltanto se si dimostra di essere più forti. Personalmente non condivido questa opinione come non condivido la tesi che la Russia sia l’impero del male: la Russia è un Paese che ha commesso l’errore di aggredire l’Ucraina che noi oggi dobbiamo difendere. Qui mi fermerei.

Quindi è sbagliata la differenza tra falchi e colombe?

È chiaro che in questo momento stanno emergendo tutte le difficoltà dell’Ucraina, con l’esercito e la popolazione civile che soffrono molto perché bombardati tutti i giorni: si rivolgono anche allo stesso Stoltenberg per chiedere aiuto, ma su questo aspetto bisogna essere molto precisi. L’assistenza militare viene regolarmente fornita all’Ucraina, ma usare il termine falchi è forse esagerato: gli armamenti sono stati inviati da tutti, Usa compresi, alla Repubblica Ucraina perché si difenda da un’aggressione russa ma queste armi non vanno utilizzate sul territorio russo perché si correrebbe il rischio di un allargamento del conflitto. A quel punto i russi potrebbero dire che con le armi occidentali si attacca un altro Paese. Per cui sul piano militare è chiaro che c’è una simmetria. Inoltre non credo che sia un bene attaccare la Russia e sul piano militare tutto ciò dà una grande inferiorità all’Ucraina.

Attaccare, dunque, o no?

Stoltenberg non ha detto di voler attaccare la Russia, ha fatto un discorso di carattere secondo me tecnico e militare, a cui aderiscono i Paesi nordici che sono più preoccupati dalla malvagità russa.

Un secondo fronte di ragionamento è sullo scenario che si apre, da oggi, alle elezioni Usa. Ci potranno essere dei passi in avanti significativi prima delle urne?

Sì, ma non dobbiamo avere una visione meccanica delle cose. Le guerre cominciano e finiscono in maniera quasi sempre imprevedibile. Per i russi chi conta sono gli Stati Uniti d’America: uno dei grandi problemi russi è quello di essere riconosciuto come superpotenza da Washington. Gli europei non hanno una grande influenza sui russi, ricordiamo tutti il tavolo di Macron con l’assenza del cardinale Zuppi che non venne nemmeno ricevuto: per cui credo che se in un anno elettorale Biden avrà voglia di affrontare realmente la questione con i russi e in maniera confidenziale, allora avremo dei progressi. Queste cose non vanno fatte sui giornali, ma vanno fatte in maniera diplomatica nel senso nobile della parola. Naturalmente c’è anche il fatto che la guerra in casa non aiuta.

Si riferisce a Gaza?

La diplomazia americana, come sappiamo, è disperatamente impegnata nel cercare di trovare una soluzione politica alla crisi di Gaza che forse è peggio di quella Ucraina. Quindi è difficile chiedere agli Stati Uniti uno sforzo particolare quando ce n’è un altro ancora peggiore in corso: il Segretario di Stato americano Anthony Blinnken ha già fatto in tre mesi otto viaggi in Arabia Saudita.

Quanto influiscono i fatti di Gaza?

Rendono le cose molto più difficili. Per quel poco che conosco i rapporti internazionali, credo che ci potrebbe essere un lavoro fatto per creare un rapporto diretto verso i russi riconoscendo loro una dignità o riconoscendogli una parità: in quel caso si potrebbe ottenere qualcosa. E penso anche che la questione non verta tanto sul fatto territoriale, quanto sulla posizione internazionale futura dell’Ucraina.

Nella Nato?

Io non vedo l’Ucraina dentro la Nato a breve termine, lo dico francamente e non sono sospettabile di essere anti-atlantico: oggi complicherebbe ancora di più questa condizione russa di accerchiamento che è una cosa che resta nella loro testa.

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