Tra il 2019 e il 2022 le imprese che, oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune, hanno registrato un aumento del fatturato del 37%, più del doppio rispetto alle imprese non-benefit. Ecco perché
Italia Paese non solo di profitto. Le società benefit (le imprese che, oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune) tra il 2019 e il 2022 hanno infatti registrato un aumento del fatturato del 37%, più del doppio rispetto alle imprese non-benefit (+18%). Secondo uno studio realizzato da un gruppo di lavoro eterogeneo di esperti, composto da Nativa, Research Department di Intesa Sanpaolo, Infocamere, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova, Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit, le migliori performance rispetto alle non-benefit sono evidenziate anche da una più alta produttività e da livelli e crescita più elevati. Rapporto tra margine operativo lordo e ricavi è passato da 8,5% nel 2019 a 9% nel 2022 per le società benefit e da 8,1% a 8,3% per le non-benefit.
Secondo la ricerca, a fine 2023 le società benefit in Italia hanno raggiunto il numero di 3.619, in crescita del 37,8% rispetto all’anno precedente. Rappresentano ancora una nicchia rispetto al totale delle imprese italiane (1,23 per mille), ma il trend di crescita è in continua accelerazione dal 2016, anno di introduzione della legge in Italia.
Lo studio evidenzia, inoltre, come le società benefit riconoscano maggiormente il valore del capitale umano, ridistribuendo dunque di più la ricchezza tra i lavoratori.
Si rileva anche un maggiore grado di investimento in leve strategiche per il futuro: ad esempio, tra le aziende manifatturiere la quota di imprese internazionalizzate è pari al 41% tra le società benefit, sette punti percentuali in più rispetto alle altre imprese. Lo stesso vale per la richiesta di brevetti (24% vs 13%), i marchi registrati a livello internazionale (35% vs 19%) e l’ottenimento di certificazioni ambientali (35% rispetto 18%), a conferma di come una delle caratteristiche principali delle imprese benefit sia quella di operare con una visione di lungo termine.
“Questa ricerca, frutto del lavoro congiunto di un insieme di partner qualificati, evidenzia per le società benefit una miglior dinamica del fatturato e una più alta produttività associata a salari più generosi”, hanno sottolineato Giovanni Foresti e Sara Giusti, economisti del Research Department di Intesa Sanpaolo. “In queste imprese l’attenzione alla sostenibilità è spesso accompagnata da un impegno deciso in innovazione e internazionalizzazione, con riflessi positivi sull’evoluzione economico-reddituale. Una maggiore diffusione di queste strategie può favorire un’accelerazione della crescita del Pil italiano e, al contempo, garantire la distribuzione di ricchezza a tutti gli stakeholder del territorio, a partire dal capitale umano. In prospettiva una crescita superiore può dunque essere anche più sostenibile e inclusiva”.
“La continua evoluzione del panorama imprenditoriale”, ha invece chiarito il direttore Generale di Infocamere, Paolo Ghezzi, “richiede sempre più l’utilizzo di strumenti evoluti e affidabili, capaci di cogliere i fenomeni che lo attraversano. I numeri del Registro delle imprese delle Camere di commercio sono il punto di partenza indispensabile per analizzare contesti produttivi, territori, strategie organizzative e profili di chi fa impresa in chiave benefit, per supportare al meglio l’analisi del loro impatto sull’economia e la società da parte di stakeholder e istituzioni. La partnership avviata per realizzare la Ricerca Nazionale riflette questa consapevolezza e vuole rappresentare un punto di riferimento per uno sviluppo diffuso di questo istituto giuridico”.
Concludendo, uno sguardo alla distribuzione territoriale delle società benefit, che restituisce un profilo del fenomeno a più forte diffusione nei quadranti settentrionali della Penisola. In particolare, le Società Benefit sono presenti principalmente nel nord ovest del paese (42,4%). Seguono il nord est (23,5%), il centro (20,9%) e il sud e isole (13,2%). Il dato regionale evidenzia la spiccata trazione lombarda del fenomeno (1.218 le società), cui segue il contributo di Lazio (394 unità, seconda), Veneto (359) ed Emilia Romagna (340).