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Piano Mattei, perché serve una politica euro-mediterranea. Scrive Paganetto

La collaborazione tra privato e pubblico in un quadro euro-mediterraneo, con l’assunzione pubblica di una parte dei rischi di investimento a fronte delle forti condizioni di incertezza presenti nei Paesi africani, può essere la strada vincente per il successo del Piano Mattei. Il commento di Luigi Paganetto, presidente della Fondazione Economia Tor Vergata

Il piano Mattei, nel riprendere le idee del fondatore dell’Eni di una partnership prioritaria con i Paesi africani, è un’iniziativa che vede il nostro Paese in un ruolo meritoriamente propositivo. A dispetto dell’immagine prevalente che ne abbiamo a ragione di conflitti, crisi alimentari e sanitarie, la novità è che la logica dello sviluppo sta prevalendo in molta parte dell’Africa. Assai diverse, come è ovvio, sono le esigenze dei paesi africani. Ciò che li accomuna è la grande esigenza di finanziamento in infrastrutture stimata in 100 miliardi di dollari l’anno vista la pressione della popolazione di 1,2 miliardi di cui è previsto il raddoppio nel 2050 .

L’attività di investimento è resa difficile dall’incertezza determinata dalla dimensione del debito estero e dalla fuga di capitali che affligge una gran parte degli Stati. Altrimenti l’Angola potrebbe prosperare con il petrolio così come la Costa d’avorio con il cacao e il Sudafrica con i suoi minerali. Sono almeno nove i Paesi africani con debiti in sofferenza, mentre altri 15 sono ad alto rischio. Zambia e Ghana sono casi di default conclamato: a loro si è recentemente unita l’Etiopia. Il Kenya ha già rinegoziato e sta pianificando di usare fondi ricevuti dal programma dell’Fmi e della World Bank per ripagare le sue obbligazioni

A questo quadro problematico vanno aggiunte le tensioni legate ai contrasti in materia monetaria tra i paesi della Confederazione economica dell’Africa occidentale (Cedeao) che vorrebbero sostituire con una nuova moneta (Eco) il franco cfa (Comunità finanziaria africana), scelta contestata dai Paesi golpisti, uscenti dalla Confederazione Mali, Burkina Faso e Niger, mentre i Paesi dell’Africa centrale continueranno a usare il franco cfa e il Sudafrica (che fa parte dei Brics) il rand legato al dollaro.

Le grandi risorse dell’Africa hanno richiamato una presenza attiva degli Usa, della Cina e della Russia, oltre che dell’Europa interessate in particolare ai minerali e alle terre rare ma anche alla logistica, ai traffici marittimi come corridoio di passaggio verso l’India. Si tratta di un quadro complessivo che rende evidente che un programma di sviluppo richiede un impegno a livello dell’Unione Europea che, in effetti, ha varato il programma denominato Global Gateway per il finanziamento di investimenti fino a 300 miliardi di euro. Di essi 150 miliardi sono destinati all’Africa per connessioni digitali(cavi sottomarini ), reti stradali, connessioni elettriche, rinnovabili e idrogeno verde.

Va detto però che il successo di questa iniziativa richiede una scelta netta a favore di una politica euromediterranea. Non bisogna dimenticare infatti che molti paesi europei guardano non già alla sponda sud e al Mediterraneo quanto, piuttosto, alla tradizione e al successo dei commerci nel mar Baltico di cui fu artefice a lungo la Lega anseatica. Non dovrebbe sfuggire oggi che il Mediterraneo, centrale per i commerci fino al xv secolo è tornato ad avere centralità con la globalizzazione degli scambi e l’enorme riduzione dei costi di trasporto collegata al gigantismo dei container.

Il Mediterraneo è un mare che, diversamente dagli oceani non divide in maniera netta il nord dal sud e l’ovest dall’est e richiede forme di collaborazione tra le sue sponde. Ecco perché i rapporti con l’Africa esigono forme di partnership ,piuttosto che di conflitto tra le diverse sponde e perché il Global Gateway e il Piano Mattei richiedono una visione euromediterranea. Solo al suo interno possono avere successo i progetti di investimenti in infrastrutture per energia, acqua, sanità, agricoltura, educazione e formazione previsti dal piano italiano. Nel caso delle rinnovabili si guarda alla produzione di energia e alle reti che oggi consentono connessioni con cavi sottomarini, come nel progetto blue med, e, infine all’agroalimentare per il quale l’Africa offre tanta terra coltivabile.

Il Mediterraneo ci consente di pensare a forme di collaborazione che possono consentire di trasportare energia verde dal Sahara alla Sicilia e mettere in funzione tecnologie aggiornate per produrre energia idroelettrica e per irrigare i campi africani creando un’industria di trasformazione in loco nel settore dell’agribusiness che avrebbe molti vantaggi reciproci

Quello che più conta per mettere in moto il meccanismo del Piano è l’ attivazione di investimenti privati sostenuti dalla finanza e dalle Istituzioni internazionali .Senza di essi è illusorio pensare che lo stesso Global Gateway possa avere successo. Il gruppo Tor Vergata ha lanciato a suo tempo una proposta, sottoposta al vaglio della World Bank, che prevede l’attivazione di massicci investimenti privati sostenuti dall’assunzione di una quota di rischio da parte della Banca europea degli investimenti come nel modello ideato, a suo tempo, da J.C Juncker, presidente della Commissione Europea.

Il vantaggio di questo modello, come dice l’esperienza fatta a suo tempo, è di mettere in moto una grande quantità di investimenti privati con una modesta quantità di fondi pubblici europei. La collaborazione tra privato e pubblico in un quadro euromediterraneo, con l’assunzione pubblica di una parte dei rischi di investimento a fronte delle forti condizioni di incertezza presenti nei paesi africani, può essere la strada vincente per il successo del Piano Mattei.

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