Il Libano affoga, non c’è dubbio, ma nessuno ha il coraggio di dire che la soluzione per salvarlo è spingere la comunità internazionale a liberasi di Assad. Di questo passo, come qualcuno vocifera, il presidente siriano, che ha creato milioni di profughi, diventerà un partner prezioso per impedirgli di raggiungere l’Europa
La generosità europea con il Libano si manifesta, caso strano, con un po’ di ritardo. Come tutti sanno infatti il Paese dei cedri è sprofondato nel baratro 4 anni fa, da allora 1 dollaro non vale più 1500 lire libanesi ma, dopo una rapidissima corsa, 100mila lire libanesi. A gestire questa evidente catastrofe è stato in gran parte il governo Miqati, egemonizzato da Hezbollah, che aveva spinto qualche anno prima il Paese verso il default per sfidare, almeno ufficialmente, Fmi e Banca Mondiale, alfieri del colonialismo americano, a loro avviso.
Le cose non sono andate bene, la sfida non è andata bene, e oggi il Libano è ridotto così. Ora arriva un miliardo di aiuti dall’Europa, spalmati da qui al 2027. Ma l’Europa, giustamente, chiede quelle riforme economiche e quella ristrutturazione del sistema bancario, collassato, anche per le colpe dei precedenti governi, ben manifestate dai infanti capi di imputazione che inseguono in mezzo mondo l’ex governatore della banca centrale del Libano: riforma però che nessuno sin qui ha voluto fare. Ma a chi le chiede queste riforme l’Europa e in particolare Ursula von der Leyen? Il governo da un anno e otto mesi è in carica per il solo disbrigo degli affari correnti perché non c’è un Presidente della Repubblica, unica autorità con potere di designazione. Il Presidente va eletto dal Parlamento, ma non c’è accordo. Non c’è neanche un governatore della Banca centrale, c’è un reggente, che non ha gli stessi poteri del governatore. A Bruxelles non lo sanno? Sì, lo sanno, ma è altro ad aver spinto l’Europa a dimostrare la propria affettuosa amicizia nei confronti del vecchio amico malato quasi terminale. E questo qualcos’altro si chiama profughi. L’Europa non lo dice, perché non può dirlo, ma il rimpatrio dei rifugiati siriani presenti in Libano appare un disperante toccasana per tuti, (tranne che per loro).
Dopo la partenza della delegazione europea, che non ha chiarito se l’aiuto concesso fosse condizionato alle riforme ed a rimpatri volontari di profughi disponibili a tornare a Damasco, il premier Miqati ha affermato che l’aiuto europeo è incondizionato ed è finalizzato (anche) al controllo delle frontiere e non ci chiede di mantenere nel Paese i profughi siriani. Come dire che il loro rimpatrio forzato non è un tabù per l’Europa. Questo apparirebbe il vero punto del viaggio di von der Leyen a Beirut, se le cose stessero come si afferma che avrebbe detto Miqati. Infatti di proprio iniziativa i profughi non rientreranno, questo è sicuro. E come altro potrebbero rientrare se non forzatamente? Chi lo ha fatto, molto pochi, è stato ucciso o è scomparso, o nelle galere di Assad o chissà dove. E questo sarà inevitabilmente il destino degli altri, visto che 6 milioni di siriani non sono fuggiti all’estero, ma sono stati deportati per motivi di infedeltà al regime. Il regime degli Assad, espressione di una minoranza etnica, ritiene la maggioranza sunnita in quanto tale infedele. E quindi, quando ha potuto o li ha eliminati o li ha cacciati. Qualcuno tornerà volontariamente?
Onesto, il presidente di Cirpro ha detto che in Siria ci sono aree sicure. Dunque un siriano che viveva a Damasco dovrebbe accettare di essere rimpatriato in un pezzo del deserto siriano, dove magari non conosce nessuno, perché lì governano, ancora, i curdi, non Assad. Non sembra una metodologia molto in linea con la cultura giuridica europea, ma Cirpo è sotto il peso dell’immigrazione clandestina, che comincia ad essere abbondante dalle coste del Libano. E allora l’Europa si muove, si ricorda del Libano, affidato a un governo senza poteri e dominato da amici di Assad, che spingono per liberarsi dei profughi, una piaga certamente, soprattutto per l’impoverito Libano, ridotto alla fame e impossibilitato a ospitare due milioni di profughi, quanti sono i siriani. I libanesi in tutto sono cinque milioni scarsi.
È questa la soluzione? Un progetto ancor più desolante è quello presentato dal leader del partito cristiano maronita delle Forze Libanesi. Consapevole, avversandolo da sempre, della ferocia di Assad, il loro leader ha detto che i filo regime potrebbero essere rimandati a Damasco, i più estremisti e vicini all’islamismo radicale nel nord della Siria, costretto sotto il tacco delle milizie jihadiste, e gli oppositori moderati nella zona governata dai curdi. L’uomo, le sue origini, i suoi rapporti personali, non esistono in questa prospettiva in verità a me sembra poco cristiana. E poi, siamo sicuri che le milizie jihadiste, detestate dalla popolazione del nord della Siria che ogni giorno da mesi manifestano contro di loro, abbiano bisogno di nuova massa di manovra?
Il Libano affoga, non c’è dubbio, ma nessuno ha il coraggio di dire che la soluzione per salvarlo è spingere la comunità internazionale a liberasi di Assad. Di questo passo, come qualcuno vocifera, Assad, che ha creato milioni di profughi, diventerà un partner prezioso per impedirgli di raggiungere l’Europa.