Putin va in visita in Cina, da dove il complesso militare-industriale, sempre più centrale per la stabilità del Cremlino, prende linfa vitale tra le pressioni dell’Occidente
Navigare tra le sanzioni e rafforzare quella che nei fatti non è una vera e propria alleanza, ma si comporta come tale nell’ottica dell’allineamento anti-occidentale. Si avvicina la visita in Cina di Vladimir Putin, che arriva nel momento più problematico del rapporto Pechino-Mosca. Non c’è dubbio che sia questo l’elemento determinante nelle relazioni occidentali incrociate con la Cina, ed è emerso chiaramente nella recente missione del segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, quanto nel dialogo con Xi Jinping che Emmanuel Macron ha ospitato a Parigi (invitando la leader europea Ursula von der Leyen).
La visita di Putin non è certamente una rarità: a partire dal 2000, infatti, ogni anno pari il presidente russo va in visita di stato in Cina — viaggio ricambiato dai leader cinesi, sebbene senza regolarità (ed è anche questo un segno di come l’allineamento sia sbilanciato e sul chi cerca chi). Ma in questa continuità che pende verso Pechino, emergono due fattori quest’anno: l’accoglienza a Putin arriva con una tempistica assolutamente non casuale, scelta dall’iper attento protocollo diplomatico cinese per seguire di pochi giorni la missione europea del leader del Partito/Stato e l’invito a Blinken; inoltre, questo dovrebbe essere il primo di due contatti sino-russi di massimo livello, visto che Xi sarà probabilmente presente alla riunione dei Brics a Kazan.
Sul tavolo dell’incontro potrebbe esserci un resoconto che il cinese farà a Putin a proposito dei suoi recenti incontri con gli occidentali — e con quelle sorte di quinte colonne che Serbia e Ungheria possono rappresentare attualmente. Uno degli elementi è certamente l’assistenza cinese — anche se non diretta, tramite forniture di tecnologie dual-use — all’invasione su larga scala russa dell’Ucraina. È il tema più sensibile, perché se la Russia è il nemico numero uno del sistema Nato/like-minded, come può essere considerato chi la aiuta nella dimensione individuata come la principale ragione dell’ostilità?
L’Occidente pressa Pechino, invitando Xi al ruolo di responsabilità — che come leader di una potenza globale dovrebbe tenere. Nelle pressioni rientrano anche sanzioni minacciate, e alcune già attuate. La Cina risponde che in realtà le esportazioni in Russia sono diminuite in termini di valore in yuan dell’11% nell’aprile 2024, dopo un altro calo del 13% a marzo. Ma come spiega una fonte diplomatica, c’è la possibilità che questo dato sia alterato da triangolazioni commerciali con Paesi terzi e sia un modo per dimostrare quella responsabilità cinese — anche pensando al valore del rapporto con le economie occidentali (messo a rischio dall’aiuto a Mosca). Ma il Tesoro degli Stati Uniti ha iniziato a lavora anche con i Paesi dell’Asia centrale e le transazioni in yuan attraverso le loro banche saranno facilmente sospettate.
È in quest’ottica che secondo un assessment diplomatico a caldo, che Formiche.net ha potuto leggere, potrebbe anche essere letta la scelta del rimpasto al ministero della Difesa, dove Sergei Shoigu, ministro dal 2012 e intimo del cerchio magico putiniano, verrà sostituito da Andrei Belousov. “La nomina da parte della Russia di un economista come nuovo ministro della Difesa mostra che il Cremlino capisce che le sue possibilità di respingere e minacciare l’Occidente nei prossimi anni dipenderanno interamente dalla sua capacità di eludere le sanzioni per nutrire il suo settore militare-industriale”, spiega l’assessment.
La nomina di Belousov ha una logica. Se la guerra si è trasformata in un confronto di risorse, allora la scelta deve ricadere su chi sa gestire quelle risorse e le relazioni con chi può procurarle. Come emerso nemmeno troppo tra le righe durante i più recenti discorsi pubblici di Putin, nei prossimi anni le forze armate e il complesso militare-industriale saranno una priorità per lo stato russo. Mentre Mosca prenderà sempre più spesso decisioni come quella sulla nazionalizzazione della Ariston, anche per seguire certe priorità, la Cina resta il necessario partner numero uno. Ciò significa che Pechino avrà sempre più presa sul destino della Russia.