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Trump non abbandonerà l’Ucraina, anzi. La versione di McCarthy (Iri)

Secondo l’esperto dell’International Republican Institute, un ritorno di Trump non significherebbe la fine delle relazioni transatlantiche. Ma porterebbe inevitabilmente a un ribilanciamento di priorità e di impegni (economici ma non solo) per il Vecchio continente

L’avvicinarsi delle elezioni americane, il cui esito sembra più indeciso che mai, sottolinea questioni slegate dal contesto puramente domestico degli Stati Uniti e più concernenti il ruolo internazionale del Paese a stelle e strisce. Come ad esempio il rapporto con lo storico partner europeo, che secondo alcuni appare traballante per via della possibile rielezione di Donald Trump e del ritorno delle sue posizioni isolazioniste. Quanto è concreto questo rischio? E quali possono essere possibili evoluzioni della situazione? Formiche.net ha conversato su questi argomenti con Paul McCarthy, Europe Regional Director dell’International Republican Institute.

Quale crede sia il destino delle relazioni transatlantiche nel futuro?

Ritengo che le relazioni transatlantiche siano estremamente importanti nel lungo periodo, viste le sfide del mondo attuale. Sul piano economico, la maggior parte del commercio statunitense è con l’Europa, e non con l’Asia come molti dicono. Si, la Cina è la più grande partner a livello di singolo Stato, ma se considera l’Europa nel suo insieme, le cifre sono nettamente superiori. E anche sul piano della sicurezza, il legame è ancora forte: la sicurezza dell’Europa coinvolgerà gli Stati Uniti, e viceversa, anche nel futuro. Ma cambierà il tono nella conversazione. Washington assumerà un approccio più transazionale.

Può essere più chiaro?

Pensiamo alla famosa conversazione tra Angela Merkel e Trump, la prima dopo l’elezione del Tycoon. La Merkel chiama Trump, si congratula con il Presidente, ed una delle prime cose che ha detto è stata: “Cosa possono fare gli Stati Uniti per noi in Ucraina?”. E Trump ha immediatamente risposto: “Cosa potete fare voi per l’Ucraina?”.  Questo è il cambiamento di mentalità a cui facevo riferimento. Non avverrà da un giorno all’altro, ma è necessario avviare questa trasformazione. A partire dalla condivisione degli oneri, il che richiederà un aumento dei bilanci della difesa nei Paesi europei che sono restii a farlo, Italia compresa.

Eppure la retorica delle correnti trumpiane predica, almeno a parole, un distacco dall’Europa.

Una parte della destra negli Stati Uniti, che una volta era vicina ai neoconservatori e adesso si è fatta più trumpiana, fa leva sul proprio eccezionalismo americano, che comporta anche il non avere bisogno dell’Europa. E credo che questo sia un errore. Penso che delle forti relazioni transatlantiche siano importanti. Ma devono cambiare, nel modo a cui accennavamo prima. Una minore difesa del continente europeo da parte degli americani, così come un maggiore burden sharing, non significa che gli Stati Uniti se ne andranno. Ci sono molti conservatori americani fermamente convinti che gli Stati Uniti debbano proteggere l’Europa. Ma la partnership deve diventare più equilibrata nel lungo termine. Tra i due lati dell’Atlantico, ma anche all’interno dell’Europa stessa. Ad esempio, non credo che sia salutare a lungo termine che solo gli Stati in prima linea abbiano enormi bilanci militari.

Intende gli Stati posizionati lungo l’Eastern Flank della Nato?

Esattamente. L’Estonia spende già il 2% del suo Pil non solo in spese per la Difesa, ma un’ulteriore 2% nel sostegno diretto all’Ucraina. E l’Estonia è un Paese piccolo. Dovrebbe fare da esempio.

E nel processo di sviluppo della difesa europea, crede sia più importante puntare sul potenziamento delle forze dei singoli Stati membri o piuttosto di costituire una struttura comune?

Penso che una struttura di difesa comune potrebbe essere un obiettivo a lungo termine. Ma adesso la crisi in Ucraina impone una certa urgenza nell’azione. E credo che il modo più veloce di reagire sia quello di aumentare la spesa per la difesa a livello nazionale, come parte di un impegno interno alla Nato. È questo il modo migliore per ottenere il massimo risultato nel breve e medio termine. Mentre lungo termine, ripeto, penso che sia salutare per l’Unione Europea esplorare modi per mettere in comune le risorse per la difesa.

A proposito di Ucraina, l’eventuale rielezione di Trump potrebbe inficiare il sostegno statunitense a Kyiv?

Non credo. Penso che Trump abbia capito che è necessario continuare a far “sanguinare il naso” alla Russia.  Anzi, penso che Trump glielo farà sanguinare ancora di più, in modo che l’Ucraina sia nella migliore posizione possibile per un eventuale negoziato. Ad esempio, attraverso la politica energetica, dove è intenzionato a revocare tutte le misure “verdi”. “Drill, baby, drill”, come dice lui stesso. Quindi queste sono tre cose che probabilmente vedrete immediatamente. E l’aumento delle trivellazioni potrebbe danneggiare molto la Russia, qualora portasse a un calo dei prezzi nei mercati energetici. Non sarà così determinante, ma avrebbe comunque un certo effetto. E non è una cosa che Putin accoglierà di buon grado, mettiamola così. Credo che a Trump piaccia essere visto come imprevedibile, soprattutto da personaggi come Putin. Proprio per questo non escludo che gli Stati Uniti potrebbero intervenire più “direttamente” in Ucraina.

E quali sarebbero le eventuali ricadute di un ritorno di “The Donald” alla Casa Bianca per quel che riguarda lo sviluppo della difesa europea di cui sopra?

Difficile dirlo con esattezza. Innanzitutto perché non è ben chiaro come, e in quanto tempo, si configurerà questo profilo di sicurezza europeo. La priorità rimane la capacità di supporto dell’Europa a Kyiv: fino a che punto possiamo aiutare l’Ucraina a progredire? Che cosa ci vorrà? Sul lato della questione della spesa dei singoli Stati, credo che Trump si sia già attivato. Il Presidente polacco Duda è un “whisperer” di Trump. Facile dedurre quindi che il sostegno di Trump in caso di rielezione andrà ai Paesi “virtuosi” dell’Eastern Flank che spendono cifre considerevoli, piuttosto che ai Paesi dell’Europa Occidentale. Anzi.

Anzi?

Mi riallaccio a quanto detto prima. Credo che per Trump i problemi principali siano i grandi Paesi europei. Come la Francia o la Germania. Quest’ultima in particolare: i tedeschi sono i più preoccupati perché sanno che saranno i più criticati dall’amministrazione Trump. Per questo consiglio loro di non rimanere pietrificati come stanno facendo, ma di prepararsi e di tenersi pronti. E credo che ci stiano provando. Hanno aumentato le spese per la difesa. Un governo della Cdu potrebbe essere più reattivo in questo senso, anche perché su quel frangente politico ci sono buoni leader in ascesa. Questa potrebbe essere una soluzione per la Germania. Ma ecco, diciamo che non vorrei essere un “verde” tedesco se Trump venisse rieletto.

Non ha menzionato l’Italia…

Probabile aspettarsi che un’amministrazione Trump chieda all’Italia di pagare di più per la difesa della Nato. Ma con la consapevolezza che il compito dell’Italia è di gestire il Southern Flank e il bacino mediterraneo, affrontando questioni come i flussi migratori, o le tensioni nei Balcani, o ancora la stabilità del Medio Oriente. Ma l’urgenza della situazione ucraina richiederà all’Italia di farsi avanti in qualche modo anche in quella direzione, ma non quanto la Germania o la Francia. E credo che Roma potrebbe essere un valido partner per Washington, soprattutto su certe questioni. Anche grazie alla figura di Giorgia Meloni.

Perché?

Credo onestamente che la figura di Meloni sia importante. È molto brava a farsi amicizie trasversali. Voglio dire, potrebbe finire per essere amica di Trump e amica di Ursula von der Leyen allo stesso tempo. Non mi sembra che loro due siano molto amici. E la capacità di triangolazione che Meloni ha dimostrato di avere potrebbe assumere ancora più importanza.



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