Nel vulcano incandescente delle prese di posizione sul disegno di legge Nordio, l’ex presidente della Corte d’Appello di Palermo e stretto collaboratore di Falcone contesta la tesi che il giudice antimafia sia stato l’antesignano della separazione delle carriere dei magistrati
“Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo” le parole di Platone sono le più citate fra la stragrande maggioranza delle toghe che bocciano senza appello una riforma della giustizia considerata uno stravolgimento punitivo e condizionante del ruolo della magistratura.
Nonostante l’opinione quanti ritengono il disegno di legge Nordio una sorta di tromp d’oeil pre-elettorale destinato alle sabbie mobili parlamentari dell’epilogo della legislatura, i contenuti della riforma preoccupano non soltanto l’Anm, quanto i magistrati più esperti che contestano in particolare la tesi che Giovanni Falcone sia stato addirittura l’antesignano della separazione delle carriere: “assolutamente no. È falso!” esclama Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo e uno degli amici più fidati di Falcone fin dalla Procura di Trapani e poi al pool antimafia di Palermo.
Quale la verità storica?
Si tratta di un ricorrente e ben noto tentativo di «falsificazione» del reale pensiero di Giovanni Falcone, che, peraltro, nella sua vita professionale (dal 1964 al 1992) aveva cambiato funzioni ben 4 volte, passando dalle giudicanti (Pretore a Lentini e giudice a Trapani) alle requirenti (Pm a Trapani), e, poi nel Tribunale di Palermo, dalle giudicanti a quelle requirenti (Procuratore aggiunto). Siamo in presenza, in realtà, di una interpretazione volutamente errata di frasi estrapolate da un contesto più approfondito, sviluppato in due interventi (convegni del 1989 e 1990) pronunciati a Venezia e Senigallia, in cui Falcone teorizzava la necessità di una più accentuata specializzazione del « nuovo Pm» rispetto a quanto richiesto nel precedente quadro delineato dal Codice di procedura penale del 1930, essendogli venuto meno il «filtro» della interlocuzione con il giudice istruttore prima dell’eventuale processo dinanzi al Tribunale o alla Corte di Assise. Infatti, alla fine dell’intervento di Venezia, Falcone specificava che la questione da lui teorizzata «merita l’approfondimento di tutte le possibili implicazioni». A dimostrazione del fatto, peraltro chiaro a chiunque lo abbia conosciuto e frequentato, che stava soltanto ponendo all’attenzione generale il cambiamento generato nel funzionamento della giustizia dal nuovo Codice di procedure penale del 1989.
Riforma effettiva, che risolve le drammatiche problematiche che l’impatto dei tempi e dei costi della giustizia determinano per i cittadini, o modifiche strutturali funzionali solo al potere politico?
Il progetto di riforma non potrà incidere minimamente sui tempi ed i costi della giustizia, giacché questi non hanno alcun rapporto con la separazione delle carriere e con l’assetto costituzionale del Csm. Il disegno di legge ha finalità che finiranno con l’incidere sostanzialmente con la tutela dei diritti dei cittadini sottoposti ad indagine, che non avranno più davanti un Pm cresciuto nella cultura della giurisdizione, ma con un inquirente che tenderà a vedere affermata soltanto la propria ipotesi di accusa. Egli, infatti, farà ormai parte di un corpo professionale autonomo, che non avrà più l’obbligo di confrontarsi con il giudice sotto il profilo di un aggiornamento professionale comune, che diverrà autoreferenziale, e che finirà necessariamente col rispondere a qualcuno delle proprie scelte operative. Questo qualcuno, probabilmente, apparterrà all’esecutivo, perché così già accade in tutti i Paesi in cui le funzioni dei magistrati sono separate, ad eccezione del Portogallo, storicamente e socialmente non paragonabile alla nostra realtà.
Perché il sorteggio differenziato fra magistrati e politici?
L’uso differente del meccanismo del sorteggio tra futuri consiglieri superiori laici e togati è una palese dimostrazione della finalità punitiva del disegno di riforma, che vuole quasi rimarcare la diversità di spessore umano-qualitativo tra professori universitari ed avvocati, da una parte, e magistrati dall’altra. È una ipotesi palesemente irrazionale e molto probabilmente anche incostituzionale.
Su quali punti essenziali si deciderà l’esito dell’eventuale referendum?
È molto difficile in questo momento ipotizzare scenari così lontani. Tuttavia non mi sembra lontano dalla realtà prevedere che uno dei punti più rilevanti del futuro dibattito sarà la minore tutela sostanziale dei cittadini dinanzi ad un pubblico ministero lontano dalla cultura del giudice. Risorsa, questa, che costituisce un fiore all’occhiello della nostra Costituzione, che ci viene invidiato da larga parte dei Paesi latino-americani, che vivono da tempo sulla propria pelle una magistratura inquirente con obblighi di risultato. Tutto questo é stato confermato nel recente incontro internazionale (organizzato a Palermo dal 22 al 24 maggio) dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo, con la partecipazione di Pm provenienti da 22 Paesi del Centro e del Sud America, oltre che europei.