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Sugli asset russi l’Europa c’è, il G7 ancora no. La versione di Forchielli

Conversazione con l’economista e imprenditore, nel giorno in cui le diplomazie continentali trovano l’intesa sull’uso di tre miliardi di euro generati dai beni strappati al Cremlino. “Francia e Germania sono troppo indecise per questo non è certo un nuovo accordo al summit di Borgo Egnazia, nonostante il pressing degli Usa. La Russia cresce solo sulla carta, il popolo non mangia carri armati e munizioni. La visita di Xi in Francia, Ungheria e Serbia? Il leader cinese si è dato la zappa sui piedi”

Manca poco più di un mese al G7 in Puglia, eppure la questione della monetizzazione degli asset sequestrati alla Russia rimane sospesa, tra l’ordine del giorno e la derubricazione a discussione secondaria. Per fortuna, dall’Europa è arrivata una spinta all’utilizzo dei proventi derivanti dagli asset, anche se manca il timbro finale del Consiglio europeo. In queste ore gli ambasciatori degli Stati Ue hanno raggiunto un accordo di principio sull’uso di circa tre miliardi di euro all’anno, sotto forma di interessi maturati sui beni della Russia detenuti in Europa (circa 190 miliardi) e che per il 90% saranno utilizzati per l’assistenza militare all’Ucraina e il 10% per la ricostruzione del Paese.

Un’intesa arrivata dopo tre mesi di discussioni tra i 27, in parte per la reticenza di alcuni governi a imboccare questa strada nel timore di effetti negativi per la credibilità dell’euro, in parte per la posizione delicata in cui si trovano i Paesi neutrali della Ue (Austria, Irlanda, Malta e Cipro) e le resistenze ungheresi. Ora però saranno i capi di governo a decidere in ultima istanza.

Poi c’è l’altro fronte, quello del G7, con una proposta americana sul tavolo. Da mesi il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, preme sui restanti grandi della Terra affinché trovino un accordo politico a monte del summit di giugno a Borgo Egnazia per sbloccare 50 miliardi di dollari da finanziare con bond a loro volta garantiti dagli stessi asset. I negoziati interni al G7 erano partiti, ma poi il blitz del Cremlino su alcune aziende occidentali che hanno ancora attività nell’ex Urss ha sparigliato le carte.

E così, ai dubbi della Banca centrale europea sulle possibili violazioni del diritto internazionale, si sono aggiunte le remore di tutti quei Paesi del G7 spaventati dal vedere le proprie aziende (c’è anche l’italiana Ariston tra le vittime dell’aggressione russa) espropriate da Mosca. A questo punto la domanda è: basterà l’accordo in Europa, sempre che passi l’esame del Consiglio, per spianare la strada a un’intesa al G7? Formiche.net ne ha parlato con Alberto Forchielli, economista, imprenditore e gran conoscitore di Asia.

“Il problema del G7 è che Canada, Giappone e Stati Uniti sono favorevoli alla confisca dei beni. Ma Francia, Germania e Italia sono meno convinti, senza considerare che il grosso degli asset sono allocati in Europa, quindi il boccino è proprio nelle mani dell’Ue. Dunque ci sono degli Stati che sono per premere l’acceleratore e altri che invece temono una fuga dall’euro, dei capitali: perché una monetizzazione dei beni farebbe quasi certamente scappare gli investitori dall’Europa e questo Roma, Parigi e Berlino non lo vogliono”, premette Forchielli. “Le nazionalizzazioni coatte in Russia c’entrano, in termini di effetto emotivo. Ma Mosca ha commesso un errore, forse ha sbagliato i suoi calcoli, diciamo che è stato un azzardo. Addirittura una scelta poco sensata perché al Cremlino sono sicuri che l’accordo nel G7 sugli asset alla fine non ci sarà e poi gli espropri vanno avanti da mesi, mica sono una novità. Per questo l’aggressione russa alle aziende straniere è tardiva e forse anche sciocca”.

Forchielli entra poi nel merito. “Temo che alla fine non si arriverà a un’intesa, un peccato non solo per la presidenza italiana, su cui gli Stati Uniti hanno puntato per portare a casa l’accordo. Io sono assolutamente favorevole alla confisca e all’uso dei beni per finanziare l’Ucraina, sia chiaro, sono tanti soldi e farebbero la differenza. Ma purtroppo temo che con Bce, Francia e Germania troppo indecise, titubanti, non basterà la moral suasion degli americani. Un altro segno della debolezza europea, che dovrebbe compattarsi e dare un aiuto vero all’Ucraina, invece che temere rappresaglie dei russi o una fuga degli investitori. Fosse per me, quegli asset li userei subito”.

Allargando lo spettro, Forchielli affronta il tema dell’effettivo stato di salute dell’economia russa. “Sulla carta va tutto bene, ma sulla carta. La gente non mangia carri armati e munizioni. L’economia cresce anche costruendo portaerei, ma la gente non mette a tavola portaerei e quindi alla fine non se la passa mica tanto bene. Al Cremlino questo importa perché debbono comunque fare propaganda, indebitarsi, lavorare sul senso patriottico del popolo. Ma se il popolo sta male o meglio non sta bene come prima della guerra e non mangia, allora il consenso va a farsi benedire. La crescita c’é perché c’è un’economia di guerra, ma senza questa cadrebbe tutto a pezzi in Russia, diciamocelo chiaro”.

Anche la Difesa comune, da finanziare con emissioni di debito europeo, trova spazio nei ragionamenti dell’economista. “Un discorso che mi scalda molto, non c’è un minuto da perdere, bisogna togliere la spesa per la difesa dai vincoli del Patto di stabilità, altrimenti all’obiettivo del 2% di spesa sul Pil ma quando mai ci arriviamo? Mai. Mica possono fare tutto gli americani che in Difesa spendono fior di quattrini”. E ce ne è anche per la visita del presidente cinese Xi Jinping in Europa. “Gliela metto giù elegante, Xi è venuto a rompere le uova nel paniere, la Cina vuole dividere l’Europa e dividerla dagli Stati Uniti, questo è il suo vero obiettivo. Se Xi voleva evitare dazi sulle merci cinesi da parte dell’Europa e degli Stati Uniti, allora direi che ha preso un granchio, con la visita in Francia, Ungheria e Serbia si è inimicato ancora di più l’Occidente e si è dato la zappa sui piedi”.

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