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La campagna ucraina contro il petrolio russo ha effetti concreti e rischi limitati. Ecco quali

Nonostante le critiche statunitensi, lo sforzo offensivo dell’Ucraina rivolto contro gli impianti di raffinazione si è dimostrato capace di inibire le capacità belliche russe. Senza avere impatti sul mercato energetico globale. L’analisi pubblicata da Foreign Affairs

Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, l’Ucraina ha avviato una campagna di attacchi mirati contro le installazioni petrolifere della Federazione Russa, con almeno venti azioni portate avanti in questo senso. L’intento, come esplicitato dai funzionari di sicurezza di Kyiv, è duplice: tagliare le forniture di carburante alle forze armate russe e ridurre i ricavi delle esportazioni che il Cremlino utilizza per finanziare il suo sforzo bellico. Questo sforzo ha portato a risultati concreti: alla fine di marzo l’Ucraina aveva distrutto circa il 14% della capacità di raffinazione del petrolio russo, costringendo il governo russo a introdurre un divieto di sei mesi sulle esportazioni di benzina.

Tuttavia, quest’iniziativa ha attirato critiche da Washington, per il timore che gli attacchi facessero salire i prezzi del petrolio a livello globale. Invece di colpire le infrastrutture petrolifere “è meglio che l’Ucraina colpisca obiettivi tattici e operativi che possono influenzare direttamente la lotta in corso”, ha affermato il Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin.

Ma c’è chi non è d’accordo. In un articolo a sei mani pubblicato su Foreign Affairs Michael Liebreich, Lauri Myllyvirta, e Sam Winter-Levy definiscono le critiche di Washington fuori luogo, nonché infondati i suoi timori. Questi attacchi riducono infatti la capacità della Russia di trasformare il suo petrolio in prodotti utilizzabili, ma non influiscono sul volume di petrolio che può estrarre o esportare. La minore capacità di raffinazione interna spingerà anzi la Russia a esportare più greggio, spingendo i prezzi globali verso il basso anziché verso l’alto. Questi attacchi stanno raggiungendo gli obiettivi che i partner occidentali dell’Ucraina si erano prefissati, ma che in gran parte non sono riusciti a raggiungere attraverso le sanzioni e il tetto massimo dei prezzi del petrolio russo: ridurre la capacità finanziaria e logistica della Russia di condurre una guerra, limitando al contempo i danni più ampi all’economia globale. “Kyiv deve vincere dove può, e una campagna per distruggere la capacità di raffinazione del petrolio russo porta benefici all’Ucraina con rischi limitati”, scrivono gli autori.

Le operazioni ucraine hanno inferto un colpo significativo alla capacità di raffinazione della Russia, riducendola di circa novecentomila barili al giorno. E per Mosca le riparazioni saranno sia lente che costose, considerando dimensioni e complessità delle ciminiere delle raffinerie, nonché l’effetto delle sanzioni occidentali che ostacolano l’accesso delle aziende russe ai componenti specializzati. Inoltre, la capacità di stoccaggio del petrolio in Russia è limitata, e quando una raffineria viene messa fuori uso il greggio estratto non può essere semplicemente stoccato per un uso successivo. Ciò lascia ai produttori russi solo due opzioni, ovvero l’aumentare le esportazioni di greggio o il chiudere i pozzi e ridurre la produzione.

Entrambe le opzioni sono dolorose per la Russia, ma aumentare le esportazioni è meno doloroso che ridurre l’estrazione. “La Russia può vendere il suo petrolio solo a Paesi selezionati, tra cui Cina, India e Turchia, i cui impianti sono attrezzati per utilizzare le specifiche qualità di petrolio prodotte in Russia. Questi Paesi hanno quindi la possibilità di acquistare a prezzi inferiori a quelli di mercato. Una volta che il petrolio viene raffinato, tuttavia, i prodotti finali possono essere venduti a livello internazionale, il che significa che la Russia deve pagare il prezzo di mercato per soddisfare il suo fabbisogno di carburante interno e militare”, notano gli esperti. Se la Russia scegliesse di chiudere i pozzi invece di aumentare le esportazioni il prezzo del petrolio a livello mondiale aumenterebbe. Ma la Russia si troverebbe ad affrontare un aumento ancora più marcato del costo dei prodotti raffinati, con minori entrate dalle esportazioni per attutire il colpo. Non è stato quindi sorprendente quando, a marzo, il primo viceministro russo dell’Energia, Pavel Sorokin, ha suggerito che Mosca avrebbe scelto la prima opzione e avrebbe dirottato più greggio verso l’esportazione.

Gli attacchi ucraini alle raffinerie di petrolio russe starebbero facendo ciò che il regime di sanzioni non ha fatto finora: senza compromettere l’approvvigionamento energetico globale o far salire i prezzi, gli attacchi stanno intaccando le entrate russe e limitando la capacità della Russia di trasformare il greggio nel tipo di carburante di cui hanno bisogno carri armati e aerei per funzionare. Finché le forze ucraine eviteranno di colpire gli oleodotti o i principali terminali di esportazione del greggio, potranno mantenere questo equilibrio. Correndo rischi limitati e provocando scarsissimi danni collaterali.

Per mantenere bassi i rischi, gli Stati Uniti non dovrebbero aiutare l’Ucraina a procedere con questi attacchi né incoraggiarli pubblicamente. Ma non dovrebbero nemmeno cercare di dissuadere Kyiv da questa linea d’azione. “Nonostante la recente approvazione da parte del Congresso degli Stati Uniti di 61 miliardi di dollari in aiuti militari, l’Ucraina si trova nel punto più fragile degli ultimi due anni. Gli attacchi alle raffinerie russe da soli non costringeranno Mosca a capitolare, ma rendono la guerra più difficile e costosa per la Russia e quindi, se non altro, quando arriverà il momento dei negoziati, potrebbero spingere il Cremlino a fare concessioni”, concludono gli autori.



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