Possibili due scenari: il partito perde del tutto lo spirito del Lingotto e il fatto di essere stato gamba strutturale dell’Italia in un momento complicatissimo; oppure si verifica il percorso inverso fatto da Bersani e Articolo1 durante l’era renziana. Ovvero scissione e se ne andranno i centristi e i democratici, mentre al Nazareno resterà la “copia carbone del M5S”. In entrambi i casi un passo indietro per l’intero sistema Italia
Potrebbe essere non solo ideologica, ma anche tremendamente partitica, la prima conseguenza delle dichiarazioni di Marco Tarquinio sulla Nato. “Se le alleanze non servono la pace e da difensive diventano offensive vanno sciolte. Sciogliamo la Nato. Non si può fare in un giorno, ma va fatto. Va costruita un’alleanza nuova e tra pari tra Europa e America”, ha detto l’ex direttore di Avvenire.
Non solo dialettica interna, ma la certificazione che una fase del tutto nuova potrebbe aprirsi per il partito, dopo le avvisaglie dei mesi scorsi con i voti non proprio compatti sull’invio di armi a Kyiv e i distinguo sui temi internazionali che si intrecciano con le sensibilità grilline.
A poco, a questo punto, può servire la rettifica pronunciata dal responsabile esteri del Partito democratico Peppe Provenzano (“non è la nostra linea”), perché il dado è tratto e l’imbarazzo è stato creato, soprattutto in un momento geopolitico altamente delicato dove misurare ogni ragionamento, è forse più importante delle decisioni pratiche che verranno prese nelle prossime settimane sullo scacchiere internazionale.
Il punto è certamente valoriale, ma un attimo dopo anche pratico per le conseguenze che potrebbe portare, nell’immediato o appena dopo l’estate.
La posizione espressa dal candidato dei democratici alle europee rischia di stravolgere l’essenza stessa del partito, capovolgendone indirizzi e composizione. Una sorta di rivoluzione copernicana che, nel rispetto di tutte le idee e dei relativi progetti politici, va analizzata oggettivamente per i riverberi che, gioco forza, ci saranno.
Le idee di Tarquinio, inoltre, espresse nella cornice di un partito che punta ad amministrare l’Italia in una visione europeista, cozzano con le posizioni atlantiste espresse nel corso dei decenni dai leader della destra italiana, da Almirante a Fini, fino a Giorgia Meloni che, ben prima di salire a Palazzo Chigi, si era espressa senza mezzi termini sia sull’alleanza atlantica che sul supporto all’Ucraina. E in maniera strutturale, non propagandistica.
Per cui, continuando così, potrebbero verificarsi due scenari nel Pd: il partito perde del tutto lo spirito del Lingotto e il fatto di essere stato gamba strutturale dell’Italia in un momento particolarissimo (nel secondo decennio degli anni duemila). In sostanza, non più interlocutore degli altri paesi stranieri nella posizione che tradizionalmente l’Italia ha mantenuto nei confronti degli alleati occidentali e della Nato.
In secondo luogo si verifica il percorso inverso fatto da Bersani e Articolo1 durante l’era renziana. Ovvero sarà scissione, ma questa volta se ne andranno i centristi e i democratici, mentre al Nazareno rischia di restare la “copia carbone del M5S”, con anche un problema di elettorato da inseguire (lo stesso per due partiti).
In entrambi i casi, un passo indietro per l’intero sistema Italia.