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La nuova sfida del G7 è il fronte sud. Il Think7 raccontato da Nelli Feroci

Conversazione con il presidente dello Iai: “Kyiv figura sicuramente tra i temi che sono stati affrontati, ma direi che se c’è un tema che è emerso come il più pregnante riguarda l’esigenza che il G7 si apra al resto del mondo e alle richieste del cosiddetto sud globale”

Duecento proposte, raccolte grazie ad un lavoro di squadra fatto da pensatoi di Paesi membri del G7 al fine di mettere nelle mani di chi presiede il summit, ovvero l’Italia, un paniere di spunti, riflessioni e proposte caratterizzate dall’indipendenza di chi le ha partorite. Così l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai, illustra a Formiche.net il senso della due giorni promossa a Roma dal Think7 (T7) Italy Summit, alla presenza dei migliori esperti dei think tank del G7 per discutere le opzioni politiche praticabili per superare l’attuale situazione di stallo.

Quale il peso specifico di questo tipo di dialogo alla luce del G7, e quale il contributo complessivo della formula think tank?

Il T7 è uno degli engagement groups del G7 e noi dello Iai, insieme a Ispi, abbiamo coordinato un lavoro che ha visto coinvolti molti altri think tank di Paesi membri del G7, ma non solo. Quindi è uno sforzo collettivo che ci ha consentito di raccogliere circa 200 proposte di policy brief da cui sono state poi selezionate 23 policies che a loro volta sono state condensate e sintetizzate in un documento finale consegnato al rappresentante del governo italiano.

Quale il valore aggiunto di un engagement group di questo tipo?

È dovuto all’indipendenza di pensiero dei think tank rispetto ai governi, con la possibilità di formulare raccomandazioni di policies che non sono necessariamente allineate su quelle dei governi dei Paesi membri del G7. Questo è il senso dell’operazione T7.

Come è stato organizzato l’evento e con quali temi-obiettivo?

Abbiamo diviso il lavoro in quattro task force che hanno coordinato queste policy brief sulla base di temi diversi: sicurezza e global governance, economia globale e rilancio del commercio, transizioni energetiche e digitali, sicurezza alimentare-salute-sanità, con una coda rappresentata dalle nuove sfide del digitale e dell’intelligenza artificiale. Su questi temi abbiamo raccolto le raccomandazioni che trasferiremo al governo.

Quale il tema che è stato filo conduttore?

Kyiv figura sicuramente tra i temi che sono stati affrontati, ma direi che se c’è un tema che è emerso come il più pregnante e più significativo riguarda l’esigenza che il G7 si apra al resto del mondo e alle richieste del cosiddetto sud globale. In questo modo potrà posizionare le sue deliberazioni in un contesto che coinvolge un gruppo di Paesi sicuramente molto importanti, perché sono fra i più ricchi e più potenti e anche molto omogenei, ma che da soli non sono rappresentativi dell’intera comunità internazionale.

Come questo strumento potrà essere riproposto anche extra G7 e con riguardo, ad esempio, alle future strategie della Nato?

Questa messa a fattor comune del lavoro di think tank funziona già da molti anni come sostegno alle attività del G20. Circa il G7 italiano la novità è data dal sempre maggiore coinvolgimento di questa voce: trovo molto utile comunque che i think tank siano dentro i processi decisionali e deliberativi di organizzazioni internazionali in modo più o meno informale. È qualcosa che già sta succedendo e mi auguro che questo possa succedere sempre di più. Naturalmente i think tank fanno il loro lavoro, ma poi spetta ai decisori politici assumere posizioni, prendendo quanto arriva dalle indicazioni dei think tank. Circa la Nato allargata all’Asia, non è un discorso che abbiamo affrontato in questa occasione. Non credo che il problema si ponga nel senso di una apertura della Nato a Paesi che appartengono a quella regione del mondo. Piuttosto penso che il problema sia di vedere se, come e quanto questa Alleanza atlantica, che nasce con una missione molto precisa, può considerare tra le sue sfide anche altre che provengono da regioni completamente diverse come Asia o Indo Pacifico. Quindi è possibile ed è auspicabile che la Nato abbia un occhio riguardo, così come avvenuto nel passato verso il Mediterraneo e che coinvolga i suoi membri anche sulle sfide che vengono dal Pacifico e dall’Asia.



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