Secondo l’esperta dello Iai l’approvazione definitiva della cosiddetta “foreign agents law” rischierebbe di compromettere il processo di adesione di Tbilisi all’Unione europea. Andando contro la volontà popolare, e compiacendo il Cremlino
Questa mattina il parlamento georgiano ha approvato in terza lettura la proposta di legge sulla cosiddetta “foreign agents law“, che prende il nome da una legge molto simile varata dalla Duma di Mosca nel 2012. Questa legge, che richiederebbe a tutte le organizzazioni non governative di dichiarare se ricevono una certa quantità di finanziamenti dall’estero, viene vista come un possibile strumento di repressione del dissenso da parte del governo, nonché come una dichiarazione di vicinanza al Cremlino: sono questi i motivi che hanno spinto folle oceaniche di manifestanti a riversarsi nelle strade della capitale georgiana Tbilisi, in una protesta che perdura ininterrotta da diverse settimane. Cosa succederà adesso? Formiche.net ne ha parlato con Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali ed esperta del settore.
Il parlamento ha approvato in terza lettura la proposta di legge. Che succederà adesso?
Adesso la procedura vuole che essa venga firmata dal Presidente del Paese. La Presidente Zourabichvili ha già annunciato la sua intenzione di porre il veto, ed è necessario capire cosa succederà dopo. C’è movimento dietro le quinte: in questi giorni abbiamo visto la diplomazia europea attivarsi nei confronti di Tbilisi sia attraverso l’invio di delegazioni di europarlamentari e di ministri degli Affari Esteri, ma anche dei funzionari europei già presenti in loco come l’ambasciatore dell’Unione a Tbilisi, che tramite le dichiarazioni di esponenti di punta delle istituzioni, da Ursula von Der Leyen a Charles Michel. Gli scenari sono diversi, ma ad oggi è difficile capire quale di questi si svilupperà effettivamente.
Può farci una panoramica?
Il primo è uno scenario ottimista in cui, dopo il veto presidenziale, il governo deciderà di non provare a confutarlo in parlamento, nonostante i numeri favorevoli mostrati dalle votazioni di stamattina. In questo caso, l’esecutivo potrebbe optare per una “ritirata tattica”, dichiarando di aspettare le raccomandazioni della Commissione di Venezia e dei partner occidentali su come migliorare la legge. De facto mettendola in stand by, e non riprendendo in mano la questione prima delle elezioni. Questo permetterebbe al governo e al “Georgian Dream” di tirarsi furi da una situazione politicamente molto difficile per loro.
A cosa fa riferimento?
È già la seconda volta che questa legge viene proposta. Il primo tentativo risale a circa un anno fa, e in quell’occasione le veementi proteste di piazza hanno costretto l’esecutivo a ritirare la proposta, accettando la sconfitta e la conseguente perdita di credibilità politica. Ritirare di nuovo il progetto di legge dopo aver deciso di riproporlo, e di essere arrivati quasi alla fine dell’iter per la sua entrata in vigore, sarebbe un colpo durissimo. Soprattutto con le elezioni nazionali previste per fine ottobre.
Menzionava uno scenario meno “ottimista”. Ce lo può esporre?
L’altro scenario vede invece l’esecutivo optare per il superamento del veto presidenziale in Parlamento. Andando così verso l’escalation con i manifestanti. È importante notare una cosa: fino ad ora le manifestazioni di piazza non avevano mai chiesto le dimissioni del governo, ma soltanto di ritirare la proposta di legge. In modo molto simile a quanto successo in Ucraina nel 2013 con Euromaidan, quando inizialmente i manifestanti chiedevano all’allora presidente Viktor Janukovich di firmare gli accordi di associazione con l’Unione Europea. Abbiamo già ricordato che le elezioni nazionali in Georgia sono previste per la fine di ottobre di quest’anno, e la popolazione avrebbe aspettato quell’occasione per esprimersi sull’operato del governo. Eppure questa mattina, immediatamente dopo l’approvazione in terza lettura, le richieste di dimissioni hanno iniziato a comparire lungo tutto l’arco delle proteste. Facile presumere quindi che se l’esecutivo andasse a cercare la prova di forza in parlamento, la situazione diventerebbe ancora più calda.
Qualora la legge venisse approvata definitivamente, rischierebbe di compromettere l’integrazione della Georgia nello spazio europeo?
Decisamente. Chiariamo subito i motivi che hanno spinto i georgiani a scendere in massa in piazza. Il primo motivo è quello della restrizione dei propri diritti civili che questa legge comporterebbe. Il secondo motivo per cui combattono è invece per il proprio futuro europeo. Quando, nel dicembre 2023, l’Unione Europea ha concesso lo status di Paese candidato alla Georgia, Bruxelles ha allegato anche dodici condizioni che il governo deve implementare; nel novembre del 2024, la Commissione valuterà il grado di implementazione delle stesse per decidere se aprire o meno i negoziati di adesione con Tbilisi, così come già fatto con Ucraina e Moldavia nel dicembre dello scorso anno. È chiaro che se questa legge venisse approvata definitivamente, essa andrebbe in diretto contrasto con le condizioni richieste da Bruxelles per proseguire nel processo di adesione. Quindi la Georgia rischia non solo di non ricevere il via libera per l’inizio dei negoziati di adesione, ma addirittura di vedersi ritirare lo status di “Paese candidato”. Troppo spesso si pensa che queste proteste siano rivolte contro questa legge in sé e per sé, ma in realtà i manifestanti protestano per il loro futuro nell’Europa.
La dibattuta legge si ispira molto ad una legge adottata dalla Federazione Russa già qualche anno fa, legge utilizzata poi dal Cremlino per reprimere il dissenso. Stiamo assistendo ad un avvicinamento del governo georgiano alla Russia?
In realtà “Georgian Dream”, il partito al governo, è sempre stato legato a Mosca, ma i suoi membri hanno fatto in modo di evitare di mostrare questi legami. Il popolo georgiano, che per l’ottantacinque percento si è dichiarato a favore dell’integrazione euroatlantica, non voterebbe mai un partito filorusso. Il “Georgian Dream” non si è mai schierato apertamente a favore di Mosca. Al contrario, ha dichiarato che la Russia è un Paese occupante, che controlla il venti percento del territorio georgiano, e che il suo obiettivo fosse quello di sostenere l’integrazione europea della Georgia. Tuttavia, dietro questa retorica europeista l’esecutivo ha accresciuto la dipendenza economica di Tbilisi nei confronti di Mosca, ha curato gli interessi dei business russi in Georgia, e adesso sta aiutando Mosca ad evadere le sanzioni occidentali. In un modo molto sottile e difficile da notare per la popolazione, che non ha capito quanto in realtà questo governo fosse lontano dall’Europa e vicino a Mosca. O almeno, non lo ha capito fino ad ora. La Russia non permette di mantenere posizioni ambigue. Alla fine chiede sempre a chiedere da quale parte stare. Politicamente, al governo georgiano non conveniva riproporre questa legge a soli cinque mesi delle elezioni, essendo ben conscio del massiccio supporto popolare verso l’integrazione europea. Inoltre, l’obbligo del governo di perseguire l’integrazione europea è previsto da un articolo della Costituzione, l’Articolo 78. Promuovendo questa legge stanno de facto violando la Costituzione. Tutto ciò dimostra quanto sia forte l’influenza del Cremlino sul governo georgiano.