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La transizione globale è anche questione di prezzi. Banca mondiale spiega perché

Lo scorso anno le tariffe applicate sugli idrocarburi hanno garantito entrate globali per oltre 100 miliardi di dollari. Ma se si vuole agire in profondità, frenando il petrolio e incentivando l’energia pulita, bisogna ripensare il sistema di prelievo sui fossili. Solo così gli impegni del G7 di Stresa potranno essere rispettati

Il G7 di Stresa, conclusosi lo scorso sabato, ha impresso una spinta non banale alla transizione energetica. I ministri dell’Economia e della Finanze che per due giorni hanno animato le sponde del Lago Maggiore, hanno convenuto sulla necessità di aumentare i giri per chiudere definitivamente i conti con l’era dei fossili, il prima possibile. Missione tutt’altro che facile dal momento che, al netto delle buone intenzioni politiche, il grosso del globo funziona e si riscalda ancora col petrolio.

QUESTIONE DI TARIFFE

Ed è qui che entra in gioco il cosiddetto carbon pricing, ovvero il sistema di tariffazione planetario, che mira a rallentare il più possibile gli investimenti in idrocarburi, in favore delle fonti rinnovabili. L’architrave di questo meccanismo è che più costano il carbone e i suoi derivati, meno conviene investirci sopra. Di conseguenza, viene facilitato lo spostamento del baricentro verso l’energia pulita, ma non solo. I proventi raccolti dai prelievi sul carbone, possono essere investiti nelle fonti verdi. Ora, un recente report della Banca mondiale, firmato da Jennifer J. Sara, global director, climate change group, World Bank, si è focalizzato proprio su questo punto.

Il ragionamento è questo: con una tariffazione delle fonti tradizionali, si può aumentare il ritmo della transizione. “Lo scorso anno”, si legge nel report, “i ricavi globali derivanti dalla fissazione del prezzo del carbone hanno raggiunto il livello record di 104 miliardi di dollari nel 2023. E questo grazie ai 75 attuali strumenti in essere per la fissazione del prezzo”. Secondo la Banca mondiale è da qui che bisogna ripartire. “La fissazione del prezzo del carbone può essere uno degli strumenti più potenti per aiutare i Paesi a ridurre le emissioni. I risultati di questo rapporto mostrano che grandi Paesi a reddito medio, tra cui Brasile, India, Cile, Colombia e Turchia, stanno facendo passi da gigante nell’attuazione di una più strutturale tariffazione del carbone”.

Eppure, non basta. Perché “nonostante i ricavi e la crescita record, tuttavia, meno dell’1% delle emissioni globali di gas serra sono attualmente coperte da un prezzo diretto del carbone pari o superiore all’intervallo per limitare l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi Celsius”. Tradotto, ad oggi il sistema di tariffazione sugli idrocarburi non incide in profondità come dovrebbe ed è poco concentrato sulle emissioni. La Banca Mondiale ha affermato in tal senso, insistendo sul punto, che “colmare il divario tra gli impegni della politica e le politiche climatiche dei paesi effettivamente messe a terra, richiederà uno sforzo molto maggiore”. Consapevole del fatto che “la tariffazione del carbone riduce le emissioni affrontando il riscaldamento globale e aiuta ad alleviare i problemi sanitari e ambientali”.

IL RUOLO DEL G7

Un discorso che si riallaccia direttamente alle conclusioni di Stresa, almeno da un punto di vista politico. Uno dei punti forti della dichiarazione congiunta del G7 finanziario, è infatti senza dubbio la transizione energetica. “Ribadiamo il nostro impegno ad aprire la strada alla transizione globale verso un’economia a zero emissioni e ad attuare quadri politici efficaci per mobilitare le risorse e sostanziali investimenti pubblici e privati ​​necessari per raggiungere tale obiettivo e “riconosciamo l’importanza della cooperazione internazionale e siamo d’accordo nell’incoraggiare l’innovazione, la finanza e gli investimenti nel verde”, hanno scritto i ministri.

“Il cambiamento climatico sta mettendo alla prova la resilienza dei nostri sistemi economici e finanziari, attraverso pericoli naturali più frequenti, gravi e imprevedibili. Tra le misure praticabili e di breve e medio termine, occorre aumentare la copertura assicurativa contro gli eventi naturali, la collaborazione tra più soggetti interessati, che potrebbe assumere la forma di programmi assicurativi pubblico-privati ​​contro le catastrofi naturali. Sottolineiamo, inoltre, l’importanza di promuovere iniziative regionali di finanziamento del rischio di catastrofi, anche con un focus sullo specifico esigenze dei paesi vulnerabili e dei mercati emergenti”.

LA STRIGLIATA DI JANET YELLEN

Tutto questo mentre da Washington arriva un accorato appello, via Janet Yellen, alle grandi imprese. Basta col mito dei crediti di carbonio, la vera transizione si fa anche con precise scelte industriali. Premessa, tali crediti sono certificati che corrispondono alla rimozione dall’atmosfera di una tonnellata di anidride carbonica (CO2) o di un equivalente quantitativo di altri gas serra. Questi crediti sono generati da progetti che riducono, evitano o catturano le emissioni di gas serra, come il rimboschimento, la riforestazione, la gestione sostenibile delle foreste, o l’installazione di tecnologie più pulite ed efficienti in termini energetici.

Il mercato dei crediti di carbonio permette alle aziende e agli enti che emettono inquinanti di acquistare crediti per compensare le loro emissioni, in linea con gli obiettivi di riduzione imposti da regolamenti nazionali o internazionali o volontari. Le aziende possono essere obbligate a possedere crediti sufficienti a coprire le loro emissioni totali, o possono scegliere di acquistarli per dimostrare responsabilità ambientale o per rispettare standard volontari di sostenibilità.

Ma per il segretario al Tesoro, bisogna andare oltre e non poggiare la transizione solo su questi strumenti. “Le aziende acquirenti dovrebbero dare priorità alla riduzione delle proprie emissioni, in particolare attraverso la pianificazione della transizione, l’adozione di obiettivi netti zero e la rendicontazione trasparente sui progressi. Finora abbiamo visto troppi esempi in cui i crediti non hanno soddisfatto i criteri e gli obiettivi della transizione”.



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