L’inquilino dell’Eliseo sta cercando di mostrarsi forte e risoluto. Ma ci sono diverse ragioni per le quali nel breve periodo serve battere altre strade per aiutare Kyiv a non finire sotto il giogo di Mosca. L’analisi di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti
La guerra in Ucraina potrebbe essere vicina a un punto di svolta: le truppe russe stanno mettendo sotto fortissima pressione la linea difensiva di Kyiv, il cui cedimento sarebbe il probabile preludio a una sconfitta con conseguenze potenzialmente molto gravi per gli equilibri geopolitici non solo nella regione, ma in tutta Europa. È stata l’oggettiva difficoltà in cui versano gli ucraini a fornire al presidente francese Emmanuel Macron lo spunto per mettere sul tavolo l’opzione di inviare truppe occidentali a sostegno: si tratta solamente di una boutade o di una affermazione fondata che potrebbe avere risultati concreti?
È necessario considerare diversi piani di analisi per non farsi “fuorviare” da una affermazione che ha innanzitutto obiettivi politici direttamente legati al futuro di Macron. Va infatti tenuto presente che le parole del leader francese sono state pronunciate in piena campagna elettorale per le elezioni europee: il partito di Macron è in difficoltà nei sondaggi che vedono rafforzarsi il Rassemblement National di Marine Le Pen e una sconfitta in occasione del voto di inizio giugno potrebbe spostare gli equilibri politici (già fragili) a livello nazionale. Ecco perché l’inquilino dell’Eliseo sta cercando di mostrarsi forte e risoluto e questa dichiarazione sembra rientrare in una narrativa non nuova (pensiamo, per esempio, alla sua foto in guantoni da boxe pubblicata qualche settimana fa).
C’è poi un secondo piano di analisi, non di così breve termine ma sempre circoscritto al perimetro nazionale e legato al ruolo che la Francia gioca a livello globale. Le ambizioni di grandeur da parte di Parigi non sono una novità (del resto i transalpini siedono ancora nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), ma negli ultimi anni la perdita di presenza e influenza in Africa subsahariana (la cosiddetta Françafrique) ha destato parecchie preoccupazioni. Paesi tradizionalmente parte dell’orbita francese a partire dalla decolonizzazione stanno finendo sotto l’influenza di altre potenze (basti pensare a quanto sta accadendo proprio in questi giorni in Niger) e dunque Macron sta cercando di reinventare un ruolo della Francia come potenza internazionale con un ruolo anche in regioni diverse.
Infine, vanno considerate questioni più strutturali e di lungo periodo che travalicano il mero interesse nazionale francese e che riguardano invece il futuro dell’Unione europea. La prossima legislatura, che vedrà la luce dopo le elezioni di giugno, dovrà fronteggiare una questione assolutamente prioritaria e cruciale: quella della creazione di una difesa comune europea. Le minacce che si sono materializzate negli ultimi anni sullo scenario internazionale hanno reso evidente che una seria riflessione in merito non è più rimandabile, ma non sarà facile mettere in piedi un progetto del genere: occorre prima di tutto la volontà politica degli Stati membri, che deve essere accompagnata da ingenti risorse finanziarie e tecnologiche. Le spese militari della maggior parte dei Paesi europei non sono ad oggi sufficienti per consentire un “salto”, sia quantitativo che qualitativo, che consentirebbe di avere una difesa comune.
A ogni modo, le dichiarazioni di Macron non possono certamente bastare a spostare le sorti del conflitto in Ucraina. Certamente, vista la situazione in campo, l’invio di un battaglione francese o a denominazione “occidentale” (che sia europeo o con il cappello Nato) non sembra sufficiente a bloccare l’avanzata russa. Non vanno poi dimenticate questioni di carattere giuridico e politico. L’invio di truppe da Paesi terzi potrebbe di fatto comportare una dichiarazione di guerra a Mosca, innescando un possibile allargamento del conflitto dai contorni non facilmente definibili e dunque molto preoccupanti. Inoltre, un intervento Nato potrebbe essere motivato solo dal famoso articolo 5, che consente di agire solo in risposta a un attacco a uno dei Paesi membri (circostanza che sarebbe davvero poco auspicabile). E poi, last but not least, non va dimenticato che attualmente, dal punto di vista sia tecnologico sia politico, non è possibile iniziare una guerra senza la partecipazione o il consenso degli Stati Uniti: Joe Biden non ha alcuna intenzione di farsi trascinare direttamente in un nuovo conflitto a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. Nel breve periodo, occorre dunque percorrere altre strade per aiutare Kyiv a non finire sotto il giogo di Mosca.