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Un altro fondo per i chip made in China. La mossa di Pechino

L’autonomia tecnologica è forse ancora troppo lontana e le restrizioni imposte dagli americani mordono. E allora Pechino mette di nuovo mano al portafoglio, lanciando un nuovo veicolo da 47,5 miliardi di dollari per finanziare le imprese nazionali. Con un occhio all’Intelligenza Artificiale

Il nome non è proprio il massimo dell’originalità, Big Fund. Ma la stazza, quella sì, fa un certo effetto. In piena guerra dei chip e a pochi giorni dalla nuova bordata di dazi arrivata dagli Stati Uniti, la Cina getta altra benzina sul fuoco nello scontro per la supremazia tecnologica. Come? Lanciando un altro fondo statale da 344 miliardi di yuan, pari a circa 47,5 miliardi di dollari. Un’iniziativa, secondo il National Enterprise Credit Information Publicity System, che ha lo scopo di rilanciare lo sviluppo dell’industria dei microchip, tra le primarie aree di scontro con gli Usa nell’aspra competizione della leadership tecnologica.

Uno delle principali settori di investimento del fondo riguarderà le attrezzature per la produzione di chip, dato il blocco imposto dagli Stati Uniti che coinvolge anche il colosso indiscusso del settore, il gruppo olandese Asml. La Cina, non bisogna mai dimenticarlo, sta scontando i durissimi dazi sulla vendita di microchip ad alto valore aggiunto e di macchinari per la loro produzione al fine di frenare l’avanzamento del Dragone soprattutto in campo militare. Nell’ottobre 2022, la Casa Bianca aveva pubblicato una serie di restrizioni con cui l’esportazione di microchip avanzati verso la Cina veniva essenzialmente vietata.

La misura, che ha sorpreso all’epoca numerosi osservatori in quanto molto radicale, ebbe una vasta influenza extra-territoriale. Il divieto infatti prevede un’applicazione ben più ampia che sulla sola industria di microchip degli Stati Uniti dal momento che, attraverso la cosiddetta foreign direct product rule, le restrizioni sull’export di semiconduttori avanzati verso la Cina sono state estese anche alle società di microchip che non ricadono sotto la giurisdizione degli Stati Uniti ma i cui prodotti contengono ugualmente tecnologia statunitense.

Per la Cina si tratta di un problema di fondamentale rilevanza, poiché gli Stati Uniti occupano una posizione dominante nel segmento upstream della catena del valore dei microchip e in particolare in quello delle proprietà intellettuali (IP) con cui sono progettati i circuiti dei microchip. Tra queste un ruolo centrale viene occupato dall’Instruction set architecture (Isa), un modello astratto di istruzioni che funziona come un vocabolario che permette a software e hardware di interagire. A preoccupare la Cina è soprattutto il fatto che il mercato mondiale delle Isa è spartito tra due società, Intel e Arm, che hanno sede rispettivamente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Da un punto di vista della sicurezza tecnologica dunque, per Pechino fare affidamento su architetture per microchip che ricadono sotto la giurisdizione di due potenze ritenute ostili è una minaccia per le proprie prospettive di sviluppo tecnologico.

Tornando al Bif Fund, la nuova mossa, secondo gli esperti, tradisce però il ritmo di sviluppo forse non in linea con le attese della leadership comunista che punta a bruciare le tappe per l’autosufficienza del Paese dalla tecnologia straniera. In altre parole, non contento dei progressi raggiunti in termini di emancipazione da microchip, il governo di Xi Jinping avrebbe messo altri soldi a disposizione delle aziende produttrici. Il fondo, che ha l’ambizione di intensificare gli sforzi per raggiungere gli Stati Uniti e gli altri rivali su scala globale, conta sul fondamentale sostegno statale.

Secondo la società di database Tianyancha, infatti, la terza fase del fondo di investimento nazionale a sostegno dell’industria dei circuiti integrati è stata istituita ufficialmente il 24 maggio, con il ministero delle Finanze che ne è il suo maggiore azionista con una quota del 17%, seguito da una sussidiaria della banca statale National Development Bank, con il 10%. Una società di investimento sotto il governo municipale di Shanghai detiene il 9%, insieme ad altre imprese statali.

Sono ormai dieci anni che Pechino pompa soldi nei microchip di ultima generazione. La prima volta fu nel 2014 con un investimento di circa 140 miliardi di yuan, mentre la seconda è stata avviata nel 2019 con circa 200 miliardi di yuan. Sebbene gli obiettivi specifici di investimento non siano stati divulgati, si ritiene che l’attenzione sarà principalmente incentrata sui semiconduttori necessari allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale generativa. Non è tutto. Oltre a sostenere lo sviluppo di apparecchiature per la produzione di chip soggette a restrizioni statunitensi, il fondo dovrebbe poi aiutare le principali aziende cinesi di semiconduttori a passare rapidamente da fornitori internazionali a fornitori domestici di wafer di silicio, prodotti chimici e gas industriali, fornendo finanziamenti ai produttori cinesi di questi prodotti.

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