Nel suo nuovo libro, Gesù in cinque sensi, edito da Marsilio, padre Spadaro propone una serie di commenti ai Vangeli che si inseriscono in un lavoro più ampio, come fosse un intarsio, che spiega l’impegno del gesuita e la vicinanza al messaggio di papa Francesco sulla figura del figlio di Dio. La lettura di Riccardo Cristiano
L’introduzione comincia così: “Il Cristo è un ‘personaggio in cerca d’autore’. Gesù è ‘uno, nessuno, centomila’, molto più di Vitangelo Moscarda. E con lui si capisce meglio perché in realtà il protagonista di ogni storia possa fermarsi all’improvviso, sfondare la ‘quarta parete’, voltarsi verso di noi, e chiederci: E voi, chi dite che io sia?”».
Teologo presbiteriano, Joseph Butler è ricordato anche per aver detto che “ogni cosa è quello che è, e non un’altra cosa”. Mi sono trovato per caso davanti a questa sua frase proprio pochi minuti prima di aprire “Gesù in cinque sensi”, il nuovo volume di Antonio Spadaro (Marsilio), che ho letto sentendo il nesso evidente con il suo recente “Dialoghi sulla fede”, proposta sotto forma di intervista dei suoi colloqui con Martin Scorsese, e con il meno recente “Una trama divina”, che come il nuovo propone una serie di “commenti” ai Vangeli.
È questo ciò che è questo libro? Certamente. Ma questi commenti si inseriscono in un lavoro più ampio, come fosse un intarsio, mi sembra, che spiega l’impegno del gesuita, dell’uomo, e forse dell’odierno sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione cattolica. A tale riguardo non posso non partire dalla notizia, abbastanza ripresa dai quotidiani, della riabilitazione, avvenuta alla Biennale di Venezia, di suor Corita Kent, che per la potenza pop delle sue opere fu definita blasfema e forzata a lasciare l’abito prima di morire. Tra le ispiratrici di Andy Warhol, Corita Kent figurava tra gli artisti ospitati nel padiglione vaticano alla Biennale di Venezia, visitato dal papa, che ha detto proprio lì che “gli artisti sono chiamati ad andare oltre. Penso a Frida Kahlo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre. Mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo, aiutandoci a valorizzare adeguatamente il contributo delle donne, come co-protagoniste dell’avventura umana”.
Tra i primi a sottolineare questa riabilitazione è stato padre Spadaro, che non è nuovo al recupero di autori a loro tempo ritenuti blasfemi, come il superlativo Pier Vittorio Tondelli, al quale ha dedicato studi di anni: mi sembra allora evidente che il suo libro sia una cosa, non un’altra cosa: è un tentativo di contribuire affinché il nostro sguardo sappia andare oltre, oltre quell’immagine un po’ stereotipata che riduce Gesù, non offrendone “un racconto di carne e ossa”.
È questo che Francesco chiede agli artisti? Io penso di sì. Un altro racconto, scritto, filmico, in poesia, ma che comunque vada al di là, sappia toccare la carne e la mente degli uomini d’oggi. Nell’introduzione al suo nuovo volume Spadaro ricorda che il papa, nella prefazione alla sua prima serie di commenti evangelici, aveva definito Gesù un “inadaptado”, uno che non si adatta. Butta all’aria i tavoli dei mercanti nel Tempio, si ferma a parlare con una donna vicino a un pozzo, e lei per di più è una samaritana, che al tempo voleva dire eretica. No, non si adattava. Dunque abbiamo intuito cosa sia questo libro: è un tassello nell’intarsio del grande affresco che parte a mio avviso dalla più semplice delle constatazioni: Gesù va, non sta mai fermo, cammina sempre nel Vangelo, incontra peccatori d’ogni sorta, non passa il tempo nel suo “spazio”, cioè solo con i suoi. Siamo al cospetto, direi, di un uomo in uscita.
Nella sua prefazione Liliana Cavani definisce il volume “un film scritto”. Cinema della parola non funziona, perché proprio le immagini possono “diventare per chi legge uno stimolo a «vedere», a costruire le immagini con la fantasia e seguendo i suggerimenti dell’autore, agendo secondo la propria attitudine e il proprio carattere”. Spadaro scrive per immagini raccontate, ricostruisce le scene evangeliche descrivendo l’ambiente, i movimenti. E convince Cavani dicendo che “è bello leggere il testo di Spadaro proprio perché stimola a ragionare sulla Fede. Essa è un percorso che coinvolge l’indagine sull’essere che siamo e sull’Universo nel quale viviamo. Ma la fede non è un’indagine scientifica. È un’indagine in un territorio che può avere confini distantissimi da raggiungere, ma anche – può accadere – essere vicina, tanto vicina da avercela addosso”.
Quel che Spadaro mette subito in chiaro è che tutto si basa sulla libertà: “Nel Vangelo si gioca la libertà. Chi ha scritto i quattro Vangeli ha dovuto confrontarsi con la libertà di Gesù. Il Figlio di Dio, il Maestro, non è un replicante divino paracadutato sulla terra per essere il portavoce dell’Eterno per orecchie umane. È Dio ed è uomo. E la sua storia è una trama che non avrebbe senso senza la libertà. Non basta la carne per essere umano. Ci vuole la libertà”. È questo il motivo per cui l’autore alza i toni solo parlando (nella narrazione con Martin Scorsese) della calvinista Marilyne Robinson: ne riconosce la grandezza artistica ovviamente, ma “chi crede nel fatto che tu sia predestinato alla salvezza o alla dannazione non può scrivere storie interessanti perché manca un pezzo fondamentale perché una storia funzioni: la libertà”. Può una storia già scritta interessarci? Ciò che ci prende è che al soggetto accada qualcosa “che mette in moto la sua libertà, senza incatenarlo a un destino già scritto da qualche parte: che sia la mente del Padreterno o di uno scrittore poco importa”. Dunque possiamo cambiare, proprio perché siamo liberi possiamo prendere un corso diverso; è la grazia di Dio? Evidentemente “basta un suo tocco, che sia una carezza o uno schiaffo, per cambiare vita, non solo idee”.
Questa libertà prevede ovviamente anche quella di non credere e questo già in sé toglie al discorso quel sapore impositivo, trasformandolo in un’offerta, che soprattutto oggi, in questo tempo di crisi intrecciate, offre a tutti la possibilità di sentirsi accolti, e sfidati. Perché adattarsi, soprattutto in questi tempi di frattura, è facile ma drammatico. Allora la sfida diventa maggiore, più forte e affascinante, perché non ci lascia assopire adagiandoci sulla certezza che comunque il peggio verrà dopo, non oggi, non qui, e comunque dopo di noi.
La chiave dell’“inadaptado” può lasciare indifferenti? Forse, a me sembra risvegli! Ma allora va capita, come dice il sottotitolo, come una sfida non teorica, ma “di carne e ossa”. Ecco allora che il progetto non è un “progetto culturale”, ma una scossa elettrica, che ha fasi, momenti, tappe che si susseguono non per inserirci in un programma predefinito, ma per risvegliare udito, vista, tatto, insomma diretto a destarci davvero. Questa prospettiva, questa trama divina, mi ha fatto ricordare di Pier Paolo Pasolini, per il quale Gesù dicendo “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, non poteva invitare, come molti ritengono, ad essere sempre ossequiosi con l’uno e con l’altro, quasi come un Arlecchino servitore di due padroni: per lui quella “e” è oppositiva, nei confronti di ogni potere terreno. O si è con Dio o si è con la “mondanità”, e fare la prima scelta non vuol dire essere contro qualcuno “pregiudizialmente”, ma, semplicemente, non adattarsi. Un po’ allarmato per ciò che ci accade mi chiedo: non è questo quello di cui oggi avremmo bisogno? Ma di cosa parliamo, di ideologie?
Dei tanti racconti relativi a Gesù quelli a cui maggiormente mi rivolgo sono quelli relativi ai suoi colloqui con i dotti della Legge. L’esempio più efficace per dire quel che intendo esprimere lo trovo in uno di questi colloqui. «Luca inquadra un “dottore della Legge”, un uomo colto, esperto nella legge data da Dio. Si alza. Vuole porre una domanda a Gesù. Il suo obiettivo è quello di “metterlo alla prova”, Fissiamo il suo sguardo investigativo, superiore. Pronuncia queste parole: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” La vita eterna… Già facciamo fatica a “salvare” la nostra vita giorno per giorno. Come faccio a dare senso ai miei giorni? Ricordiamo che il dottore vuole mettere alla prova Gesù. È davvero interessato alla sua risposta o è solo un modo per capire quel che pensa, e se quel che pensa è ortodosso o meno? Gesù risponde ponendo un’altra domanda: “Che cosa sta scritto nelle leggi? Come leggi?”.
Il Maestro non è colui che risponde con le risposte esatte ma colui che scava nel cuore e nell’intelligenza dell’interlocutore per verificare le sue domande e per guidarlo alle risposte che cerca. Un dottore della legge è rinviato alla stessa Legge per trovare le risposte che cerca. Ecco la risposta del dottore: “Amerai il signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gesù gli risponde: “Hai risposto bene, fai questo e vivrai”. Ho fatto questa lunga citazione per far capire lo stile narrativo e anche per dire che solo a questo punto arriva la famosa domanda “chi è il mio prossimo?”. È una domanda a cui molti ancora oggi non sanno rispondere, pur dicendosi, magari, cristiani. Ma qualcuno può restare sorpreso che qui giunga la parabola del buon samaritano, che vede per strada un uomo picchiato e derubato dai briganti e per quanto sia un samaritano, con cui i giudei avevano pessimi rapporti, a differenza di quanto fatto in precedenza da un sacerdote e da un levita, si ferma, lo cura e lo conduce in un albergo, dove chiede di assisterlo pagando in anticipo: se ci fosse differenza pagherà il resto ripassando.
“Presi dal racconto abbiamo dimenticato che quella di Gesù è la risposta al dottore della Legge. Ancor una volta Gesù gli pone una domanda: ‘Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?’ Quello risponde: ‘Chi ha avuto compassione di lui’. Gesù gli dice: ‘Va’ e anche tu fa così’. È Gesù a mettere alla prova il dottore, alla fine. Non la sua ortodossia, ma la sua vita e la sua capacità di darle un senso valido ed eterno”. La vita eterna così la capisco, e anche il non adattarsi è più chiaro.