In Europa è stata registrata una crescita degli atti violenti, afferenti a matrici diverse l’un l’altra. Un dato che suona un campanello d’allarme anche su altri versanti, come quello della disinformazione galoppante
Un trend sottile e poco evidenziato, ma già presente, e in fase di rafforzamento. La crescita degli episodi di violenza in Europa è un dato significativo, poiché si insinua sulle faglie interne alle società liberali e democratiche del Vecchio continente. Il fatto che questo fenomeno sia composto da singoli episodi scollegati tra loro, e che abbiano come minimo comune denominatore soltanto la caratteristica del ricorso alla violenza, lo rende ancora più complesso da gestire, per via delle dinamiche particolari dietro ai singoli frangenti.
L’ultimo di questi casi è avvenuto proprio questa mattina nella cittadina normanna di Rouen, quando un uomo armato di coltello e sbarre di metallo è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia francese, che stava cercando di arrestarlo con l’accusa di essere il responsabile dell’incendio appiccato alla sinagoga locale. In Francia (e non solo) il numero di atti violenti a sfondo antisemita è cresciuto costantemente negli ultimi mesi, in seguito al riaccendersi delle tensioni in Medio Oriente. E nel moltiplicarsi delle (legittime) manifestazioni contro la condotta israeliana nella Striscia di Gaza, i responsabili di queste gesta trovano (erroneamente) una forma di giustificazione.
In questi giorni, un altro caso di violenza aveva sconvolto l’Europa e il mondo, quando un attivista settantunenne aveva aperto il fuoco contro il primo ministro slovacco Robert Fico, che in questo momento sta ancora lottando tra la vita e la morte. La Slovacchia è un Paese dove, al netto delle forti divisioni politiche interne, gli episodi di violenza sono rari. O almeno, lo erano fino ad ora. La paura è infatti che l’attentato possa dare il via ad un effetto domino, alimentato dal senso di vendetta ma anche dal desiderio di emulazione che poco ha a che fare con la visione politica.
Ma la “violenza individuale” non è l’unica fonte di rischio per l’Europa. Accanto al proliferare di fenomeni spontanei vi è anche un ritorno di fiamma della minaccia terroristica. “Negli ultimi mesi, tra 2023 e inizio 2024, sono state scoperte in Austria, Paesi Bassi, Regno Unito, cellule in cui singoli individui si erano raccolti e molto spesso queste persone di nazionalità centrasiatica, che stavano organizzando la pianificazione di attacchi, convivevano materiale propagandistico dell’Iskp. E in alcuni casi sono state ricostruite comunicazioni dirette tra figure europee e altre in Afghanistan”, aveva analizzato su Formiche.net il ricercatore di jihadismo Riccardo Valle. Con lo Stato islamico che riprende forza nelle aree mediorientali, è facile aspettarsi di assistere a una ricaduta anche al di fuori di suddetti territori.
Ognuno di questi fenomeni viaggia su binari propri. Ma tutti trovano terreno fertile nella crescente instabilità socio-politica, che favorisce la radicalizzazione (non soltanto religiosa) e apre la strada alla disinformazione. Quest’ultima può essere difatti considerata come un vero e proprio catalizzatore poiché essa, sfruttando canali ad ampio raggio come i social network, va a stressare le fratture già esistenti fino a renderle delle voragini, su cui le classiche strade del dialogo risultano meno efficaci, e dove invece trovano spazio manifestazioni di aggressività. Combattere la disinformazione potrebbe quindi rivelarsi la strada giusta non soltanto per contrastare influenze ostili da parte di attori “altri” rispetto alla comunità occidentale, ma anche per precludere possibili eruzioni di violenza su più larga scala nello spazio europeo.