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Perché il voto Onu sulla Palestina è solo una mossa simbolica

Ieri al Palazzo di Vetro via libera alla risoluzione (Italia astenuta). Washington ha già posto il veto alla misura nel Consiglio di sicurezza

Ieri l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, ha approvato una risoluzione che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.

La reazione di Israele

Secondo Israel Katz, ministro degli Esteri israeliano, “la decisione è un premio ai terroristi di Hamas” che hanno compiuto l’attacco nel Sud di Israele il 7 ottobre scorso portando all’escalation in corso. Gilad Erdan, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, ha fatto a pezzi con un tritacarte una copia della Carta delle Nazioni Unite per protestare contro il voto.

Il plauso di Hamas

Hamas, invece, palude al voto del Palazzo di Vetro: “Consideriamo questa risoluzione un riconoscimento della necessità che il nostro popolo palestinese ottenga i propri diritti legittimi e un’affermazione della cooperazione internazionale, a fronte della volontà americana di sostenere la guerra di annientamento condotta contro di essa. Chiediamo ai Paesi liberi del mondo di intensificare i loro sforzi e di fornire tutti i mezzi di assistenza e sostegno al nostro popolo palestinese”, si legge in un comunicato.

L’astensione italiana

L’Italia si è dichiarata a favore della soluzione “due popoli, due Stati” per risolvere la crisi in Medio Oriente ma ritiene che la “soluzione debba essere raggiunta attraverso negoziati diretti tra Israele e Palestina”, ha dichiarato Maurizio Massari, ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, nel suo intervento all’Assemblea generale. L’Italia è tra i 25 membri che si sono astenuti.

Le mosse americane

La mossa è simbolica, considerato che gli Stati Uniti hanno posto il veto alla misura nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno apertamente criticato Israele per l’uso di armi americane in modi incompatibili con il diritto umanitario internazionale durante la guerra a Gaza. In un rapporto pubblicato ieri dal Dipartimento di Stato si legge che è “ragionevole stimare” che armi statunitensi siano state impiegate in violazione al di fuori del consentito, anche se non è possibile raggiungere “risultati conclusivi”. Per questo, Washington non ha bloccato l’invio di forniture militari, come minacciato a inizio settimana dal presidente Joe Biden. Tuttavia, ha avvertito che il danno alla reputazione che Israele subirà se prenderà d’assalto Rafah supererà di gran lunga qualsiasi possibile guadagno militare.


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