In un’intervista il Segretario Generale afferma che la Nato sta vagliando la possibilità di schierare un maggior numero di testate nucleari. A spingere per questa scelta il rafforzarsi degli arsenali di Cina, Russia e Corea del Nord, e della minaccia che essi rappresentano
L’Alleanza Atlantica sembra in procinto di dare maggior spazio alla sua componente di deterrenza atomica. O almeno, questo è quello che si deduce dalle parole pronunciate dal Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg durante un’intervista con il quotidiano britannico Telegraph, in cui l’esponente norvegese sottolinea come in sede atlantica sia al vaglio la possibilità di incrementare il numero di armi nucleari effettivamente schierate, per far fronte alle crescenti minacce provenienti dalla Federazione Russa, dalla Repubblica Popolare Cinese e dalla Repubblica Popolare Democratica di Corea.
La ratio dietro questa eventualità è il “comunicare il messaggio diretto che noi, ovviamente, siamo un’alleanza nucleare”. “Non entrerò nei dettagli operativi su quante testate nucleari dovrebbero essere operative e quali dovrebbero essere immagazzinate, ma dobbiamo consultarci su questi temi. Ed è esattamente quello che stiamo facendo” ha affermato Stoltenberg rispondendo alle domande del suo intervistatore. Sottolineando anche il fatto che, sebbene l’obiettivo della Nato sia la non proliferazione, “un mondo in cui Russia, Cina e Corea del Nord hanno armi nucleari, mentre la Nato non ne ha, è un mondo più pericoloso”.
La risposta di Mosca ai commenti di Stoltenberg non si è fatta aspettare, con il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov che ha definito le parole del Segretario Generale “nient’altro che un’escalation”, specificando che il Presidente russo Vladimir Putin non parli mai di armi nucleari “di sua iniziativa, perché prende la questione sul serio”.
Dei trentadue Paesi che fanno parte dell’Alleanza Atlantica, soltanto tre dispongono di armi nucleari: Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Ma ordigni nucleari tattici americani sono dispiegati anche nei territori di Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Gli Stati Uniti hanno dichiarato di avere 1.419 testate nucleari strategiche dispiegate nel loro arsenale nel marzo 2023, a cui si aggiungono le duecentonovanta testate di cui dispone la Francia e le quaranta attualmente schierate dal Regno Unito.
La Russia ha scelto (probabilmente per motivi di ambiguità strategica) di non rilasciare le proprie cifre per il 2023; tuttavia, l’anno precedente Mosca aveva dichiarato di disporre di 1.549 testate. Mentre, secondo lo svedese Stockholm International Peace Research Institute, Pechino possiede disporrebbe di 500 testate, di cui solo una piccola porzione sarebbe operativa. Più incerte le stime sulle dimensioni dell’arsenale di Pyongyang, che potrebbe includere tra le 40 e le 116 testate nucleari.
Negli ultimi quindici anni tanto il Cremlino quanto Zhongnanhai hanno accresciuto le loro capacità nucleari. Ma se nel caso cinese questo rafforzamento non ha avuto ricadute sulla postura diplomatica di Pechino (che ha volutamente evitato di attirare l’interesse sulla questione), Mosca ha invece adottato una retorica nucleare molto più aggressiva nei confronti dell’Occidente, sia tramite esternazioni delle figure di punta della Federazione Russa, che attraverso la conduzione di esercitazioni nucleari. L’ultima di questa risale a pochi giorni fa, quando Mosca ha lanciato esercitazioni nucleari congiunte con la Bielorussia, dove ha iniziato a stoccare alcune delle sue testate nucleari nel 2023, in una mossa ampiamente interpretata come un avvertimento all’Occidente a non interferire nella sua invasione in corso dell’Ucraina.
Una maggior capacità atomica da parte dell’Alleanza Atlantica potrebbe effettivamente favorire una maggiore deterrenza rispetto alle potenze nucleari revisioniste, rendendola allo stesso tempo meno vulnerabile alle pressioni esercitate dalle stesse tramite il loro strumento atomico. Al contempo, però, vi è il rischio di un’escalation che, se mal gestita, porterebbe conseguenze catastrofiche.