Non si possono rivendicare i vantaggi della nostra piena adesione e poi cercare di non pagare il costo e i rischi connessi. La forza dei sistemi di alleanza di cui facciamo parte sul piano militare è legata alla coesione dimostrata sul campo. Sarebbe bene evitare che i nostri troppi “distinguo” di oggi possano rischiare un domani di giustificare i “distinguo” dei nostri partner. L’analisi di Michele Nones, vicepresidente dell’Istituto affari internazionali (Iai)
Il dibattito sul diritto all’autodifesa dell’Ucraina aperto dal segretario generale della Nato Stoltenberg sta dimostrando quanto sia ancora limitata la consapevolezza che con l’attacco russo del 24 febbraio 2022 si sia chiuso un capitolo della storia iniziato con la fine della Seconda Guerra Mondiale e se ne sia aperto un altro dalla trama difficilmente prevedibile. Il mondo è radicalmente cambiato perché sono venuti meno alcuni punti fermi che erano le basi di quello precedente: si sta combattendo una guerra vera ancorché circoscritta, per di più per la prima volta di nuovo in Europa, anche se la si continua a camuffare come una “operazione militare speciale”; si è infranto con la forza militare il principio del rispetto dei confini territoriali; si conducono operazioni militari contro la popolazione ucraina in contrasto con la normativa internazionale; si rivendica il diritto ad impedire al popolo ucraino di decidere autonomamente da chi vuole essere governato e di scegliere altrettanto autonomamente di quale organizzazione internazionale far parte. In pratica si riscopre il concetto degli Stati “satelliti” o “a sovranità limitata” di staliniana memoria (guarda caso ad opera dei suoi eredi).
In questo contesto delle “nuove guerre” i governi occidentali, fra cui quello italiano, discutono sulle limitazioni poste all’Ucraina relativamente all’utilizzo degli armamenti che le sono stati forniti per difendersi dall’aggressione russa. Alcuni chiedono di utilizzarli per “difendersi” solo sul territorio ucraino e non utilizzarli per colpire obiettivi militari sul territorio russo, nemmeno se si trattasse delle basi da cui gli attacchi vengono direttamente lanciati. Sul piano tecnico militare vi è evidentemente una differenza fra i siti da cui decollano i velivoli che poi bombardano o lanciano missili, i droni che sono delle vere e proprie “bombe volanti”, i missili superficie-superficie, o da cui vengono sparati proiettili di artiglieria a lunga gittata e i relativi depositi, e tutte le altre infrastrutture militari indirettamente coinvolte. Sarebbe, quindi, ragionevole e comprensibile che i governi occidentali e le Istituzioni internazionali di cui fanno parte (Nato e Ue) chiedessero al Governo ucraino di selezionare con attenzione gli obiettivi militari nel pianificare le operazioni di autodifesa. Ma tutto questo dovrebbe essere fatto in modo chiaro e collettivo per rendere consapevole sia l’opinione pubblica sulla gravità della situazione e sui rischi che correrebbe il mondo (e non solo l’Occidente) se l’Ucraina perdesse una guerra che combatte anche per noi, sia il governo russo sulla nostra determinazione a non accettare e non riconoscergli alcun diritto ad imporsi con la forza su altri Stati e popoli. Ambedue gli obiettivi rischiano di diventare irraggiungibili se, invece, il fronte del sostegno all’Ucraina si sfalda fra distinguo (detti e non detti) e si lascia spazio a timori emotivi o, addirittura, stimolati a fini elettorali.
Per altro, è evidente che, stante le limitate disponibilità ucraine di munizionamento pesante e missili, le attività offensive contro le basi in territorio russo dovrebbero essere necessariamente selettive e, quindi, limitate. Sarebbe, però, molto importante per l’Ucraina, sul piano militare e su quello politico, riuscire a colpire le basi da cui partono gli attacchi russi contro la popolazione civile e contro le infrastrutture strategiche che le consentono di resistere. Va, infatti, tenuto presente che vi è una sostanziale differenza fra la “tenuta” di un regime autocratico e quella di un paese che si è, invece, affacciato alla democrazia e che si vede le mani legate da quelli stessi paesi che lo stanno sostenendo. Viceversa, non si dovrebbe assicurare alle forze russe una forma di “immunità” per la loro aggressione che continua senza alcun rispetto per la popolazione civile.
Qualcuno sostiene che consentire l’utilizzo degli armamenti occidentali contro il territorio russo equivarrebbe ad un diretto coinvolgimento della Nato, ma, al di là dei formalismi giuridici, nella storia vi sono molteplici esempi in cui non è stato riconosciuto questo automatismo. Il più evidente è quello degli Stati Uniti che hanno garantito la sopravvivenza del Regno Unito di fronte agli attacchi condotti dalla Germania nazista (con l’utilizzo anche delle prime “bombe volanti”) sulle città inglesi (obiettivo, per altro, civile) dallo scoppio della Seconda Guerra mondiale all’11 dicembre 1941 quando entrarono in guerra. Più recentemente molti paesi occidentali hanno fornito armi ad alleati e partner coinvolti in operazioni militari senza che questo comportasse il loro coinvolgimento diretto, come è avvenuto, ad esempio, a favore di Israele in occasione delle ripetute guerre medio-orientali. Sul fronte opposto, la Russia utilizza contro l’Ucraina armi nord-coreane, iraniane e cinesi senza che questi paesi siano considerati responsabili del loro utilizzo. Lo stesso dovrebbe valere, pur con le possibili limitazioni sopra indicate, anche per l’Ucraina alla cui sovranità andrebbe riconosciuto il diritto a difendersi.
Se dal suo territorio un Paese conduce un’operazione offensiva contro un altro, il diritto all’autodifesa copre necessariamente anche le azioni volte ad impedirne la reiterazione, rendendo inutilizzabili i sistemi e le basi coinvolte (e questo vale anche nel caso di attacchi cyber).
Inoltre, sul piano politico internazionale sostenere che le armi occidentali non possono essere utilizzate dall’Ucraina sul territorio russo in quanto l’Ucraina non fa parte della Nato e/o dell’Unione europea rischia di diventare un boomerang. Sarebbe molto pericoloso se per garantire tutti i paesi amici extra Nato e/o Ue i paesi membri dovessero prima accettarli in queste organizzazioni: potremmo non essere interessati o potrebbero esserci ostacoli. Se oggi invocassimo questo principio per l’Ucraina, rischieremmo di perdere ogni credibilità a livello internazionale o, in alternativa, saremmo costretti ad accettare artificiali allargamenti delle comunità di cui facciamo parte.
Un’ultima considerazione riguarda la partecipazione italiana a queste ultime. Non si possono rivendicare i vantaggi della nostra piena adesione e poi cercare di non pagare il costo e i rischi connessi. La forza dei sistemi di alleanza di cui facciamo parte sul piano militare (la Nato esplicitamente e, per ora, l’Ue parzialmente e, in parte, implicitamente) è legata alla coesione dimostrata sul campo. Sarebbe bene evitare che i nostri troppi “distinguo” di oggi possano rischiare un domani di giustificare i “distinguo” dei nostri partner.