I produttori del Dragone sono pronti a portare le loro auto in Sudamerica e Medio Oriente se la situazione con l’Ue dovesse complicarsi ulteriormente. Intanto Standard&Poor’s mette in guardia Pechino sui bond
Se bastassero i dazi a fermare la Cina, ci sarebbe da dormire sonni tranquilli. Nei giorni in cui l’Europa prova a mettere la mordacchia al Dragone, aumentando sensibilmente le tariffe per la vendita di auto elettriche nel Vecchio Continente, dalla Repubblica Popolare arrivano segnali contrastanti. Con ogni probabilità, nei prossimi giorni da Pechino arriverà una risposta all’Europa, decisamente più muscolare rispetto a quanto visto finora con gli Stati Uniti. E, nelle more, ci sarà sempre da parte cinese il ricorso al Wto contro la decisione di Bruxelles, che è bene ricordarlo, scatteranno solo a partire dal prossimo 4 luglio.
C’è poi l’altro terreno, più prettamente strategico. E qui i costruttori cinesi che hanno incassato il colpo dell’Ue non hanno intenzione di gettare la spugna. Anzi, di rilanciare se possibile. Dove? Quasi certamente, racconta Bloomberg, in quel Sudamerica che non si è mostrato troppo tenero con il Dragone. Come raccontato da Formiche.net nei giorni scorsi, infatti, Paesi come il Brasile (coinquilino della Cina nei Brics), hanno deciso di ricorrere a nuovi dazi sull’acciaio importato dal Dragone per proteggere le proprie imprese.
Ma ora, “con le case automobilistiche cinesi che potrebbero piangere per l’imposizione da parte dell’Unione europea di tariffe aggiuntive, esse studiano opzioni per continuare a crescere. Le aziende potrebbero anche rivolgere la loro attenzione a nuovi mercati in Medio Oriente, America Latina e Sud-Est asiatico, dove i veicoli elettrici comprendono un segmento piccolo ma in crescita del mercato delle autovetture”, scrive l’agenzia di stampa americana.
Addirittura, dall’associazione dei costruttori cinesi, lanciano una sfida all’Occidente. Se l’Europa si chiude a riccio, o quasi, ci sono altri mercati dove sfondare. “Man mano che le case automobilistiche cinesi diventano più forti, è naturale per loro affrontare azioni commerciali contrarie, come gli aumenti tariffari”, ha dichiarato Cui Dongshu, segretario generale dell’associazione. “Anche se c’è la soppressione delle auto esportate dalla Cina, le case automobilistiche non saranno sconfitte a suon di dazi, che le renderanno solo più forti”.
Tutto questo mentre sul fronte interno, Pechino deve incassare un altro colpo. Stavolta l’Europa c’entra poco, la bordata arriva da Standard&Poor’s. La Cina, se vuole sostenere la crescita e nello stesso tempo contenere il debito, dovrà migliorare l’efficienza dei finanziamenti “partendo da una razionalizzazione del mercato obbligazionario e dando più spazio alle obbligazioni private rispetto a quelle pubbliche”, ha scritto in un report l’agenzia di rating. Tradotto, servono più bond privati.
“Il governo cinese desidera sostenere la crescita economica, ma è preoccupato per gli alti livelli di debito tra i governi locali e le aziende. Di conseguenza, ha stretto i finanziamenti ai governi locali e controllato la crescita complessiva del credito. Ma, per mantenere una crescita stabile senza aumentare ulteriormente la leva finanziaria, la Cina potrebbe dover migliorare l’efficienza del finanziamento degli investimenti”. Problema, il grosso del settore industriale privato cinese risponde al nome di mattone. Un nome che al giorno d’oggi è sinonimo di crisi e sfiducia. Quindi, chi potrà mai sottoscrivere titoli emessi da società moribonde?