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Cipro ed Egitto, come corre l’alleanza del gas

Il legame tra energia e guerra è (purtroppo) solido: Gaza ha causato la chiusura della piattaforma del gas Tamar, che produce circa 10 miliardi di metri cubi di gas, mentre la produzione di gas in Israele è diminuita di quasi il 50% a causa delle ripercussioni della guerra. Per cui le due isole felici, Il Cairo e Nicosia, hanno dinanzi una grossa opportunità

Da un lato la guerra a Gaza che ha costretto Israele a rivedere i propri numeri alla voce energia, dall’altro chi come Cipro ed Egitto già erano impegnate da tempo nel rafforzare la propria posizione complessiva nel dossier energetico, (dove opera un soggetto di caratura mondiale come Eni) alla luce degli enormi giacimenti scoperti nel Mediterraneo orientale. Oggi scommettono ancora di più sul gas, in attesa di capire se il progetto del gasdotto EastMed è definitivamente archiviato e se il minigasdotto Cipro-Israele potrà vedere la luce in caso di una tregua. Sullo sfondo il Piano Mattei, che proprio alla voce energia presenta indirizzi precisi.

Qui Cipro

Cipro potrebbe produrre gas naturale già nel 2026: le parole del ministro dell’Energia di Nicosia, George Papanastasiou, sono utili per comprendere come l’isola nell’estremo est del Mediterraneo stia progressivamente aumentando il proprio peso specifico alla voce energia. Risale al 2011 la prima scoperta di gas offshore mentre l’ultima è del 2022, grazie alla partnership tra l’italiana Eni e la francese TotalEnergies. Dal 2007 il Paese ha conferito ai maggiori soggetti specializzati mondiali una serie di licenze di esplorazione per 13 blocchi esplorativi offshore. Il risultato complessivo parla di un mercato dalle notevolissime potenzialità e dai riverberi geopolitici altrettanto significativi, dal momento che accresce non poco le opzioni di approvvigionamento per l’Europa.

Il riferimento del ministro è a Kronos, giacimento dotato di circa di 2,5 trilioni di piedi cubi (tcf) di gas: quando sarà disponibile il gas verrà probabilmente inviato agli impianti Eni di Zohr in Egitto, a soli circa 70 chilometri di distanza. Ed è proprio alla luce delle distanze niente affatto proibitive tra i giacimenti e i paesi coinvolti che era stato immaginato un progetto di infrastrutturazione (EastMed) coinvolgendo Cipro, Grecia, Italia e Israele: i dubbi precedenti alla guerra sui costi e il mancato accordo politico per l’intromissione della Turchia non hanno mai definito i contorni dell’operazione.

Qui Egitto

L’Egitto ormai da cinque anni ha raggiunto l’autosufficienza nella produzione di gas per soddisfare la domanda interna, inoltre ha importato circa sei miliardi di metri cubi di gas nel 2022 da Israele, convertendone una parte in gas naturale liquefatto e poi esportandolo in Europa. Complessivamente contribuisce al 5% del fabbisogno di gas naturale dell’Europa. Dal 2020, secondo i dati diffusi da S&P Commodity Insights, Israele ha fornito quasi tutta la fornitura di gas naturale della Giordania e tra il 5 e il 10% di quella dell’Egitto.

Le prospettive per l’Egitto sono molto incoraggianti, dal momento che Energean aumenta le risorse di gas nell’offshore egiziano di Abu Qir, in quanto l’ultima perforazione nel delta del Nilo occidentale ha dimostrato di avere più gas del previsto.

Inoltre, stando a quanto annunciato al forum Invest in African Energy (IAE) di Parigi da Mohamed Fouad, amministratore delegato di Egypt Oil & Gas, segretario generale dell’Egyptian Gas Association, Il Cairo dovrebbe unire i ministeri del petrolio e delle energie rinnovabili, creando un ministero dell’Energia integrato per semplificare le operazioni e le normative del settore. La scelta è comune a diversi paesi nordafricani che hanno cerchiato in rosso a livello strategico un nuovo obiettivo: concentrarsi su un mix energetico integrato, che comprenda un equilibrio tra idrocarburi e risorse energetiche rinnovabili.

Nodo Gaza

Al momento l’unico nodo è rappresentato dalla guerra a Gaza, che potrebbe essere secondo Standard & Poor’s un fattore di carenza a lungo termine nelle forniture di gas. L’agenzia in un paper ad hoc osserva che “la guerra sarà in gran parte confinata a Israele e Gaza e non durerà più di tre-sei mesi”, ma in caso di possibile escalation oltre i confini di Israele, le esportazioni di gas israeliane potrebbero fermarsi completamente. E non pensiamo che molti produttori del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) potrebbero colmare questa lacuna poiché la maggior parte della loro produzione di gas è già sotto contratto”.

Il ragionamento fatto da Standard & Poor’s è che se la guerra rimarrà concentrata a Gaza avrà un impatto basso sui vicini di Israele, “ma se si diffondesse a importanti canali di distribuzione, a nostro avviso l’Egitto – che sta già razionando il gas – potrebbe avere difficoltà nel medio termine”. Lo scorso 20 ottobre l’agenzia ha abbassato i rating sovrani a lungo termine in valuta estera e locale dell’Egitto a “B-” da “B”, ma le prospettive restano stabili.

La guerra inoltre ha causato la chiusura della piattaforma del gas Tamar, che produce circa 10 miliardi di metri cubi di gas, di cui circa l’85% viene utilizzato per il mercato interno israeliano, e circa il 15% del restante viene esportato in Giordania per generare elettricità e l’Egitto per liquefarla ed esportarla in Europa. La produzione di gas in Israele è diminuita di quasi il 50% a causa delle ripercussioni della guerra.

Altri players

Tra i player regionali attivi, va segnalato anche il Marocco che è impegnato nella costruzione del gasdotto con la Nigeria, una svolta infrastrutturale per collegare i giacimenti di gas della Nigeria ai mercati internazionali attraverso il Marocco, attraversando 11 paesi dell’Africa occidentale. L’opera punta a dimostrare il successo della collaborazione transfrontaliera e dello sviluppo delle infrastrutture in Africa.

Tutti concordano nel ritenere l’Africa in una fase cruciale del proprio sviluppo energetico, dal momento che in primis punta a incrementare le proprie forniture energetiche per raggiungere gli obiettivi di elettrificazione e industrializzazione, e in secondo luogo strutturare una maggiore intesa con i partner internazionali per un’operazione di win win. Ovvero lo spunto programmatico contenuto nel Piano Mattei, al fine di ottenere un mix energetico e politico quanto più equilibrato possibile.

@FDepalo


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