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La Space force vuole più lanciatori di satelliti privati. La strategia

Agli Usa non basta più poggiarsi su SpaceX e Ula per i propri lanci satellitari: la nuova strategia della Space force punta sullo stimolo della competizione. La strada rimane in salita, ma la direzione giusta. Che sia spunto per queste sponde dell’Atlantico

La Nasa e la Space force sono le istituzioni Usa in testa alla corsa spaziale? Non proprio. Gli Stati Uniti restano saldamente leader in tutti i settori spaziali, ma lo sono poggiando sempre di più sul proprio settore privato. Per fare un esempio, tutti i satelliti militari lanciati dal 2018 sono stati spediti nello spazio da SpaceX o dalla United launch alliance (Ula), le uniche due compagnie che hanno la facoltà di partecipare a queste missioni. 

I privati americani hanno le risorse (anche più degli attori pubblici), sono il centro dell’innovazione tecnologica del Paese (e del mondo) e non è un caso che da qualche anno a questa parte si è assistito a un vero boom nel settore spaziale, pubblico (militare e non) e commerciale. Ecco, però, che due compagnie non bastano più, e bisogna correre ai ripari. 

Questa pare essere la valutazione della Space force, che a febbraio del 2023 ha effettivamente annunciato che la nuova fase (la terza) della National security space launch program (Nssl) dedicherà alcuni lanci a compagnie emergenti. Questi avverranno nella “corsia 1” del programma: per questi trenta lanci, la competizione sarà più facile in quanto vi saranno standard più permissivi e in quanto sarà possibile applicare annualmente. I 49 lanci della “corsia 2”, invece, saranno relativi a lanci con carichi medi e pesanti e prevederanno richieste più stringenti. 

I problemi

In primis, SpaceX è in una posizione dominante da anni, e ha accumulato un vantaggio molto sensibile in termini di tecnologia ed infrastrutture. Dopo l’invasione russa della Crimea, il Congresso aveva imposto al Pentagono di trovare una soluzione alternativa all’Atlas V di Ula, che aveva un motore russo. Nel 2018, il Falcon 9 dell’azienda di Elon Musk iniziò a dominare il mercato americano, senza ricevere fondi dal Pentagono, che finanziò invece Ula, Blue Origin e Northrop Grumman, ma sfruttando invece i finanziamenti della Nasa. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, gli altri governi occidentali seguirono i passi di Washington, determinato la scomparsa di Soyuz dal mercato. Ula ha da allora effettuato il primo volo col suo nuovo Vulcan centaur, Northrop Grumman rimane una delle grandi società del comparto aerospaziale e della difesa e Blue Origin si appoggia al capitale di Jeff Bezos.

La seconda questione da tenere in considerazione è da ricercare nel mercato. Da una parte, vi è adesso una grande domanda per capacità di lancio, trainata dal settore privato, e compagnie che magari non hanno mai volato si trovano ad avere ordini fino alla fine degli anni Venti. Dall’altra, non è chiaro se la domanda continuerà ad essere così vorace o se, lanciate le prime costellazioni, si restringerà. Anche a fronte degli elevati costi di ingresso del mercato, che rende le compagnie entranti molto indebitate e quindi altamente esposte a rovesci di varia natura, viene a determinarsi una situazione dove l’unica certezza è che molti degli attori non dureranno troppo a lungo. 

La criticità principale della strategia della Space force è la sua esposizione a comportamenti aggressivi degli attori più affermati o con più capitale. Non ci sono criteri che impediscano ad attori affermati (SpaceX, Ula) o molto solidi (Northrop Grumman, Blue Origin) di entrare nei bandi della corsia 1, offrendo pacchetti anti-economici atti a danneggiare l’eventuale concorrenza emergente. 

Esponenti degli attori emergenti hanno, quindi, indicato altri modi per rendere la strategia ancor più mirata a favorire la competizione. La prima riguarda la tempistica: poter partecipare ad un bando all’anno, e solo dopo aver effettuato il primo lancio, non è agile quanto il ritmo dell’innovazione. Avere il primo lancio un giorno dopo la scadenza del bando imporrebbe di restare un anno fermi, o quasi, cosa che può essere letale per una nuova azienda. La seconda indicazione riguarda le infrastrutture di lancio, molto costose da sviluppare: istituire sussidi pubblici per la costruzione di spazioporti o costruire  spazioporti pubblici noleggiabili dai privati (che, magari, lancerebbero con i fondi dello Stato) potrebbe essere positivo.

Quindi?

Come emerge da DefenseNews, la strada per aumentare la competitività dell’industria del lancio statunitense si è fatta meno ripida, ma resta in salita. Vi sono fattori strutturali, relativamente ai quali la strategia delle Forze spaziali può fare ben poco, e in diversi hanno presentato considerazioni circa possibili miglioramenti di questa stessa strategia. La logica è: aumentare la resilienza e la competitività del sistema di lancio a stelle e strisce aiuterebbe a sfruttare a pieno i vantaggi competitivi degli Usa (capitale e innovazione dei privati). L’ambizione, più o meno dichiarata del piano, è favorire la creazione di un ambiente da cui possa emergere una nuova SpaceX.


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