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Nessuna sorpresa da Via Nazionale. Zecchini spiega perché

Nell’insieme delle Considerazioni finali del governatore di Banca d’Italia resta forte la concentrazione sulle forze che marcheranno l’evoluzione futura dell’economia. Attraverso i progressi nell’integrazione dei mercati, della finanza e della gestione economica, l’azione europea in comune spingerà e aiuterà il Paese ad adottare riforme e miglioramenti a lungo attesi. Il commento di Salvatore Zecchini

Nelle prime Considerazioni finali del nuovo governatore della Banca centrale è visibile il cambiamento di enfasi ed intonazione nel trattare delle tendenze in atto e dei temi caldi dell’economia, pur rimanendo nel solco della continuità con i predecessori nel rigore dell’analisi e dell’argomentare. Una presentazione dallo stile asettico, neutrale, poco incline a valutazioni o commenti sulle politiche economiche del governo e fortemente proiettato sulle proposte in discussione di più stretta integrazione europea. Perfino nel menzionare il Mes è assente una sottolineatura, lungi da un invito, a riconsiderare l’opposizione italiana alla ratifica del suo potenziamento.

La metà circa delle Considerazioni è dedicata ai progressi da compiere nell’Unione Europea, che sono considerati essenziali per fronteggiare le sfide geopolitiche, dell’innovazione, del rinnovamento tecnologico e della minore dipendenza europea dalla domanda e dalle risorse esterne. Il tema è posto in primo piano ed è declinato su diversi piani, in particolare su quelli della politica monetaria e di bilancio. Si dà un giudizio positivo sull’efficacia della restrizione monetaria nel placare le forti tenzioni sui prezzi che hanno portato l’inflazione a un picco del 10,2% e si mostra fiducia sulle previsioni di una continua discesa verso l’obiettivo del 2%, che si completerebbe l’anno prossimo. Una fiducia che poggia in parte sul gradualità dell’abbassamento dei tassi d’interesse chiave in misura tale da mantenere un sufficiente grado di restrizione.

Il persistere di una certa intensità nella stretta monetaria viene individuato alla luce di due fattori: il permanere di una significativa eccedenza del tasso d’interesse al netto dell’inflazione rispetto a quello considerato “neutrale” e l’attesa di un drenaggio di liquidità dal sistema per effetto dello smobilizzo del grande portafoglio di titoli accumulati durante la pandemia al fine di sostenere l’attività economica.

Su entrambi i punti, tuttavia, sorgono alcuni dubbi. La stima del tasso d’interesse reale su orizzonti di 18 mesi è soggetta ad ampi margini d’incertezza riguardo alle aspettative d’inflazione in un periodo di instabilità nei mercati primari e dell’energia e di alti rischi geopolitici. Analoga incertezza sulla stima del tasso “naturale” che è frutto di un calcolo teorico del livello coerente sia con l’obiettivo di inflazione, sia con la crescita potenziale dell’economia europea. Quanta fiducia si può accordare a una sua stima appena superiore allo zero percento, che si colloca entro una fascia tra più o meno 0,5?

Dichiaratamente, si propende per il mantenimento di un’abbondante liquidità per alimentare le attività creditizie, anche attraverso il mantenimento di un consistente portafoglio di titoli – quindi una parte dei titoli accumulati dovrebbe rimanere nel bilancio della Bce – e mediante rifinanziamenti a più lungo termine del sistema. Qui si intravede l’accettazione di una parziale monetizzazione del debito pubblico emesso durante la pandemia.

A giudizio del governatore, il rafforzamento dell’economia europea e della sua crescita richiede altresì un approfondimento dell’integrazione su due componenti fondamentali: una politica di bilancio comune e un mercato dei capitali integrato. La prima è resa più urgente dalla necessità di fornire beni pubblici comuni, quali la sicurezza esterna, la risposta alla sfida energetica o agli shock su scala europea, e di una gestione in comune delle fluttuazioni congiunturali attraverso un coordinamento nell’utilizzo delle leve monetarie e di quelle dei bilanci pubblici.

Un bilancio centrale europeo consentirebbe di superare lo squilibrio tra una gestione unitaria della moneta e una molteplicità di indirizzi nelle finanze nazionali. In questa prospettiva i recenti progressi nella riforma dell’architettura di governo dell’economia europea, ancorché giudicati coerenti con la crescita e la sostenibilità dei debiti pubblici, non appaiono adeguati. Si omette, peraltro, di considerare che un bilancio centrale presuppone un’unità politica con un governo centrale, un sistema impositivo a livello sovranazionale e decisioni centralizzate sulla composizione delle spese e delle entrate, e sui saldi di bilancio. L’area dell’euro è ben lontana da un simile traguardo e non è nemmeno stabilito che debba essere condiviso da tutti i paesi membri. Potrebbe anche essere ancora più distante dopo le prossime elezioni del Parlamento europeo.

Rafforzare la competitività e l’autonomia strategica dell’Ue comporta approntare considerevoli risorse finanziarie e di capitale umano da impiegare nella transizione energetica, nell’avanzamento tecnologico, le infrastrutture digitali di telecomunicazione e altri settori di punta, quali l’intelligenza artificiale. Agire in comune e far leva su un mercato unico dei capitali sarebbe la strada migliore e più agevole per raggiungere l’obiettivo. In questa impostazione si avverte la prossimità alle tesi sviluppate nel recente Rapporto di Letta sul Mercato unico.

Un mercato finanziario integrato, se concorrenziale, efficiente nell’allocazione dei capitali tra le imprese e tecnologicamente avanzato, genererebbe maggiori flussi d’investimento, nonché di opportunità per i risparmiatori, permettendo anche la diversificazione delle fonti di finanziamento per le imprese. Sono considerate precondizioni per procedere verso l’integrazione finanziaria sia l’emissione di un titolo pubblico europeo privo di rischi, sia la realizzazione dell’Unione bancaria. Indubbiamente l’emissione non episodica di un simile titolo fornirebbe un solido punto di riferimento per valutare gli altri titoli, agevolerebbe i collocamenti di quelli delle imprese e rafforzerebbe il ruolo dell’euro come moneta di riserva internazionale.

Ma non vi sono ragioni cogenti per considerarla una precondizione per l’avanzamento verso unione finanziaria, analogamente all’Unione bancaria, che invece costituisce una requisito essenziale. Quest’ultima è il supporto indispensabile della prima e in assenza di essa rimarrebbero ostacoli al movimento dei capitali verso gli impieghi più meritevoli e all’accrescimento dei flussi di risorse. La convenienza relativa del ricorso al mercato americano si fonda propriamente su un’unica normativa, sull’efficienza del sistema banche, sulla supervisione integrata, sulla varietà dei servizi disponibili e sull’innovazione continua di prodotti. Il cammino in Europa verso l’integrazione finanziaria, tuttavia, non si è arrestato dopo la mancata ratifica del Mes perché il Consiglio europeo ha da ultimo concordato di avanzare verso l’armonizzazione delle normative sul fallimento, la supervisione in comune dei maggiori operatori di mercato e la ricerca di una convergenza su alcuni trattamenti nazionali delle imprese.

Una vulnerabilità dell’Ue discende dalla dipendenza dalla domanda estera con un valore degli scambi commerciali superiore al 55% del Pil, a confronto col 25% degli Usa e col 40% della Cina. La vulnerabilità è accentuata in questo decennio dall’impennata delle restrizioni commerciali e dal protezionismo crescente nelle maggiori economie. Si giudica pertanto essenziale sviluppare i progetti in comune, specialmente nelle tecnologie avanzate e nei settori strategici, puntare su una più profonda integrazione dei mercati intra-europei e intensificare le attività d’investimento che sono funzionali a colmare il gap di produttività con i paesi più avanzati.

In questo panorama, il giudizio sull’andamento dell’economia italiana risulta positivo tanto per la ripresa post-pandemia, quanto per le possibilità di innalzare stabilmente la crescita nei prossimi anni. La notevole espansione degli investimenti, nonché delle esportazioni in una fase di rallentamento degli scambi mondiali e l’intensificazione dell’impiego di tecnologie avanzate, quali la robotica nella manifattura, lasciano presagire una continuità del risveglio economico. Vi dovrebbero contribuire gli investimenti e le riforme previsti dal Pnrr, a condizione che siano realizzati nei tempi e con l’efficacia dovuti. Su questa base si stima un incremento del prodotto del Paese superiore a due punti percentuali nel breve termine e un’accelerazione della produttività tra 3 e 6 punti su 10 anni. Purtroppo, dopo tre anni di attuazione degli impegni del Pnrr si scorgono poche tracce di questo scenario.

Per ottenere questi risultati è giudicato necessario far fronte al declino demografico ed accelerare la dinamica della produttività. Sul primo punto si insiste su politiche volte ad aumentare il tasso di partecipazione alle forze di lavoro e il tasso di occupazione per le donne e i giovani. Qualche cautela sull’apporto dell’immigrazione regolare all’occupazione, che è visto positivamente sempre che rispetti gli equilibri sociali e si accompagni a un’integrazione nell’istruzione e nel lavoro. Sulle conseguenze per l’occupazione dell’applicare tecniche di intelligenza artificiale la valutazione è più alta di altre stime, perché toccherebbe due terzi dei lavoratori, ma non produrrebbe effetti devastanti in quanto per la maggioranza si creerebbero nuove occasioni di lavoro. Per gli altri occorrerà intervenire con misure per la riqualificazione delle competenze e il ricollocamento.

In ogni caso la ricerca, l’innovazione e l’avanzamento tecnologico sono ritenuti necessari e cruciali per incrementare la produttività del lavoro. In quest’ottica si insiste nel riportare al 20% il credito d’imposta per la ricerca e nel creare un ambiente favorevole in termini di infrastrutture, stabilità macroeconomica e delle regole, concorrenza di mercato e miglioramento del capitale umano. Di grande rilievo è il richiamo al sostegno delle iniziative imprenditoriali innovative, un’apertura straordinaria allo spirito d’imprenditorialità rappresentato dalle start up d’avanguardia, imprenditorialità che è da sostenere col potenziamento degli investimenti di venture capital. Questa forma d’investimento incontra diversi ostacoli dovuti alle relativamente modeste dimensioni d’impresa, al mercato di borsa e al quadro normativo e istituzionale, ostacoli su cui bisogna intervenire. Non si menziona, tuttavia, lo scarso sviluppo della finanza alternativa, come il private equity e il private debt, che si è invece espanso notevolmente negli USA e in altre economie avanzate.

Nella finanza pubblica si ferma l’attenzione sul problema del debito in una chiave diversa dal solito, ovvero nel quadro di un piano graduale e credibile di contenimento, che faccia leva sulla ricomposizione della spesa nelle direzioni degli interventi per la produttività e dello stimolo alla crescita, alla produttività e all’efficienza. Mancano i toni allarmistici, oppure rigoristi che sovente si prospettano nei media per i prossimi anni a seguito dell’applicazione delle nuove regole del Patto di Stabilità. In realtà, si indica come questa nuova fase di aggiustamenti impegnativi si possa gestire adeguatamente senza compromettere la crescita, ma migliorando sostanzialmente l’azione pubblica.

Il riferimento al sistema bancario è ampio e occasione per apprezzare il rafforzamento patrimoniale e l’adozione di tecnologie digitali e innovative nei servizi bancari, benché sia un fenomeno ancora limitato piuttosto che estendersi al sistema. All’apprezzamento e allo stimolo si accompagna la messa in guardia contro i rischi inerenti all’innesto di nuove tecnologie, in specie quelli connessi alla esternalizzazione di funzioni essenziali e agli attacchi cibernetici. Si raccomanda particolarmente l’incremento delle competenze digitali e miglioramenti nella gestione, controllo e nell’utilizzo dei dati digitali. L’intensificazione già avviata dell’azione di supervisione sugli enti, anche in quelli meno grandi, manterrà una pressione ad accelerare la transizione al digitale in sicurezza.

Nell’insieme delle Considerazioni, resta forte la concentrazione sulle forze che marcheranno l’evoluzione futura dell’economia e dell’intermediazione finanziaria e sul ruolo dell’integrazione europea come asse per affrontare al meglio tale evoluzione. Attraverso i progressi nell’integrazione dei mercati, della finanza e della gestione economica, l’azione europea in comune spingerà e aiuterà il Paese ad adottare riforme e miglioramenti a lungo attesi.



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