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Ora parte la campagna elettorale per Parigi. Meloni-Le Pen? Intesa complessa. Parla Gressani

Archiviato il voto per le Europee in cui ha trionfato il Rassemblement National di Le Pen e Bardella, inizia la campagna per Parigi in cui però insistono dinamiche diverse. Il partito di destra sta cercando, attraverso il giovane leader, di accreditarsi nella società francese. Su Macron grava un’insoddisfazione frutto anche della sua lunga permanenza sulla scena istituzionale. Ma per Meloni è un interlocutore più facile rispetto a Marine Le Pen. Conversazione con Gilles Gressani, direttore editoriale del Grand Continent, presidente del Groupes d’études géopolitiques dell’École e docente a Sciences Po

 

Mentre l’ex presidente francese François Hollande annuncia la sua candidatura nella prima circoscrizione elettorale perle elezioni legislative – in quota Nuovo Fronte Popolare – entra sempre più nel vivo la campagna elettorale per Parigi. Sì, perché se i risultati elettorali delle Europee hanno consegnato un risultato chiaro, in cui primeggia il Rassemblement National, la sfida per la capitale sarà altrettanto sentita ma con ogni probabilità sarà caratterizzata da dinamiche differenti, benché il Rn di Le Pen e Bardella sembra in progressiva affermazione. Sullo sfondo, le questioni internazionali e i rapporti con gli alleati Nato, il G7 e le frizioni tra il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. Insomma, il quadro è complesso e per cercare di chiarirlo abbiamo chiesto un parere a Gilles Gressani, direttore del Grand Continent, presidente del Groupes d’études géopolitiques dell’École e docente a Sciences Po.

Che cosa prevede possa succedere per la campagna elettorale di Parigi, considerando il successo elettorale riscosso dal RN alle Europee?

Il partito di Le Pen è una specie di piccola e media impresa a conduzione familiare che ha brevettato un metodo per trasformare la collera in consenso. Ma si tratta di una formazione che è sempre evoluta ai margini e nell’ombra della Repubblica. Le Pen paga lo scotto del cognome, per cui difficilmente potrebbe accreditarsi nella società parigina come interlocutore politico credibile. Ed è qui che entra in gioco il giovane Jordan Bardella.

Qual è il suo ruolo, al di là di quello formale che riveste al vertice del partito?

Per un membro delle élite parigine è ancora impensabile dichiarare apertamente di essere andato a pranzo con Marine Le Pen. Non è la stessa cosa con il telegenico e nuovo Bardella. Nato nel 1995 rappresenta un punto di rottura con la storia del partito e in particolare con ciò che ha sempre rappresentato il fondatore, l’ombra della repubblica dalla tortura in Algeria all’antisemitismo o la continuità vichysta. Sta infatti cercando e in parte riuscendo a costruire dei contatti con alte rappresentanze politiche francesi – una parte dei gollisti, in prima istanza – e con alcune componenti della società parigina che potrebbero vedere in lui e nella presunta discontinuità un possibile interlocutore.

Come si configura in questo scenario la figura e il ruolo del presidente Macron?

Macron è ancora il presidente in carica e incarna una centralità piuttosto atipica per le democrazie occidentali. Tant’è che è raffrontando il sistema istituzionale italiano e quello francese, quello italiano risulta essere molto più equilibrato. Macron, in qualche modo, risulta essere una sorta di parafulmine – un rischio nell’elettricità delle crisi contemporanee.

In che senso?

Macron che in sette anni non ha mai voluto strutturare un partito resta l’unico a poter veramente decidere e questo crea un assetto inedito nella quinta repubblica francese. La sua presenza sulla scena – da oltre dieci anni, nei diversi ruoli che ha rivestito – determina in modo meccanico una forma di insoddisfazione che si è trasformata in una sorta di crisi di sistema. Ed è per questo che il RN nel tempo ha cambiato strategia. Proponendo semplicemente di incarnare un’alternanza, ma venendo nello stesso tempo una forma di continuità.

Per questo il programma del Rassemblement national sta mutando.

Sì, il Rassemblement National sta provando a cambiare pelle: l’insofferenza verso il presidente Macron è una leva politica insufficiente per governare la Francia nella durata. Per questo, al posto degli elementi abrasivi e di rottura che erano presenti nel programma precedente, sta cercando di mostrare – retoricamente – che il cambio di passo che non sarà radicale. Una proposta di stabilità. Peccato però che il partito, differentemente da quanto accade in Italia con i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, non ha struttura di governo e resta ancorato a contraddizioni profonde: prima tra tutte una relazione con il sistema bancario russo…

Arriviamo ai rapporti Italia-Francia. Come sono al momento?

Le parole di Macron e quelle di Meloni proiettano delle divergenze politiche interne e europee che sono evidenti. Ma i sistemi, le società e i loro problemi sono più vicini di quanto sembri.

Con Le Pen o il RN più in generale, al governo, sarebbero più distesi i rapporti?

Al contrario. Questo è un luogo comune. Sono convinto che il RN sarebbe un interlocutore molto più ostico per Meloni, rispetto a quanto è il presidente Macron. La competizione su alcuni dei dossier strategici – mi vengono in mente quelli legati alle Alpi da Mentone al Monte Bianco o al Mediterraneo, la competizione economica e industriale – sarebbero molto più serrata con due leadership nazionaliste.

E in politica estera?

Vale lo stesso principio. Benché Le Pen stia provando a smarcarsi da alcune posizioni storiche assunte dal suo partito – dalla questione Ucraina all’Unione europea – le strutture e le inerzie restano.

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