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Da Meloni a Schlein e Conte, tutti gli scenari dell’onda lunga delle Europee

Entusiasmi, rivincite, delusioni, rimpianti, incertezze: per leader e partiti è iniziata la radiografia dei risultati elettorali delle Europee. Un voto condizionato dall’altissima astensione che per la prima volta ha superato il numero dei votanti. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Gloria e fiele del the day after delle Europee. Un lunedì da incorniciare per Giorgia Meloni ed Elly Schlein e invece da incubo per Giuseppe Conte e Matteo Salvini, Carlo Calenda e Matteo Renzi. Sullo strapuntino delle due leader si aggrappa Antonio Tajani rianimatore di Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi. Alle vincitrici si aggregano a pieno titolo Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli i leader dell’Alleanza Verdi e Sinistra che ha superato di slancio lo sbarramento del 4%, che ha lasciato fuori da Bruxelles Azione e Stati Uniti d’Europa. L’effetto centrifuga delle elezioni europee è appena iniziato ma già si intravedono le conseguenze.

(Qui le previsioni del 3 maggio scorso rivelatesi esatte – Europee chi vince e chi perde. Tutte le previsioni)

Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia pur sottoposti ad attacchi concentrici, anche da parte degli stessi alleati leghisti, superano e rafforzano nettamente il successo delle politiche e lasciano prefigurare scenari in evoluzione negli equilibri della maggioranza di governo. Per la premier si profilano l’ulteriore affermazione alla guida del G7 e un ruolo decisivo, dopo i contraccolpi delle debacle nei rispettivi Paesi di Macron e Scholz, nella formazione e nella scelta della nuova leadership europea. Nonostante le défaillance, gli autogol, le gaffe, le peripezie giudiziarie di ministri, sottosegretari, uomini di partito e degli apprendisti stregoni del pianeta Rai, la Presidente del Consiglio supera le Europee con una evidentissima carica vincente e un indiscutibilmente successo personale che le consentiranno di resettare in profondità Fratelli d’Italia, l’esecutivo e la maggioranza parlamentare. Una svolta che non lascia alternative alla Lega, alle prese con lo psicodramma salviniano e della latente scissione da parte del generale Vannacci, e a Forza Italia destinata a perpetuare il culto di Berlusconi nell’orbita di Fratelli d’Italia.

Oltre all’indubbia abilità e al grande fiuto politico, Giorgia Meloni ha avuto la strada spianata anche dai continui autogol tanto di Matteo Salvini che di Giuseppe Conte. Dopo avere sbaragliato entrambi, ripristinato un bipolarismo politico che evita ricatti e congiure di palazzo, lungo la rotta dell’azione di governo le restano tuttavia da rimuovere alcuni errori di percorso, la carenza di classe dirigente, le scorie del populismo antieuropeo e operare una scelta di candidati di indiscusso valore per le delicate nomine istituzionali e le prossime elezioni. Il ridimensionamento e la prima o poi inevitabile uscita di scena di Salvini offre alla premier la grande chance di una svolta politica centrista che inglobi destra e moderati, liberali e l’anima cattolica della Dc che non si riconosce più nel Pd.

Elly Schlein ha lottato e vinto su tutti i fronti: contro i colpi bassi e le pugnalate alle spalle di Conte e dei 5 Stelle, il palese boicottaggio delle correnti interne e il fuoco incrociato della sinistra filo palestinese e contraria all’appoggio della causa ucraina. La netta risalita in voti e percentuali del Pd, a scapito soprattutto dei 5 Stelle, le fa acquisire una preziosa e non scontata golden share politica: quella del centrosinistra. Se sull’abbrivio delle Europee riuscirà a calamitare ulteriormente i parlamentari Cinque Stelle e a bypassare l’autunno, particolarmente impegnativo a causa della guerra in Ucraina e degli sviluppi in Medio Oriente e della conseguente crisi economica e sociale, potrà permettersi di sbaragliare definitivamente le agguerrite correnti interne del Nazareno e indirizzare il Pd lungo la politica che le è connaturale: quella del partito delle nuove generazioni digitali ed ecologiche, dei diritti e delle libertà fondamentali. Non in una democrazia apparente ma in una democrazia compiuta.

Matteo Salvini le ha tentate davvero tutte, dalla candidatura del generale Vannacci alle telefonate a Trump, dall’occhiolino a Putin, alla simil dichiarazione di guerra a Macron, dalle sceneggiate sull’irrealizzabile ponte di Messina, agli attacchi a destra e a manca, ma non ha evitato l’ennesima sconfitta che fa scendere inesorabilmente la Lega a percentuali a una cifra. Ancora non si capisce se dovrà affrontare un congresso anticipato o un vertice di partito in stile politbüro russo, come quelli che defenestravano i leader. Secondo gli ambienti parlamentari, per evitare un eventuale colpo di testa che potrebbe culminare nella creazione con il Generale Vannacci di un partito personale, Salvini potrebbe essere commissariato da uno specifico ufficio di segreteria formato dai presidenti di Regione Fedriga, Zaia e Fontana.

Giuseppe Conte e i Cinque Stelle proseguono la caduta libera del Movimento iniziata dopo la scomparsa di Gian Roberto Casaleggio, il sostanziale distacco di Beppe Grillo, la fuoriuscita di Luigi Di Maio, Pizzarotti, Di Battista e del gruppo storico delle origini. In considerazione dell’assenza di strutture territoriali, della scelta di candidati quasi esclusivamente attraverso una parziale selezione degli iscritti, senza alcun riscontro esterno, e della quasi totale carenza di candidati popolari o con un certo impatto nell’opinione pubblica, il Movimento ha subito una notevole emorragia, in linea con le recenti sconfitte alle elezioni regionali in Sardegna, Abruzzo e Basilicata. Perduto irrimediabilmente l’appeal di Palazzo Chigi, all’ormai sempre più ex “avvocato del popolo” Conte non è bastata la posizione platealmente filo russa e antioccidentale, ed ha pagato elettoralmente la sfida velleitaria ad Elly Shlein e al Pd, una sfida caratterizzata da agguati amministrativi e colpi bassi. Come per Salvini, per Giuseppe Conte si preannunciano giorni travagliati caratterizzati dall’incombente prospettiva di essere defenestrato dalla leadership di una formazione politica che alle prossime politiche rischia di non superare il quorum e di uscire definitivamente di scena.

Antonio Tajani è riuscito a subliminalizzare la scomparsa del fondatore e deus ex machina di Forza Italia, Silvio Berlusconi, rianimando il partito e riuscendo a scavalcare la Lega.

Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si godono l’exploit dell’Alleanza Verdi e Sinistra incentrata sull’intuizione delle candidature di Ilaria Salis, Leoluca Orlando, Domenico Lucano e Ignazio Marino. La prospettiva dell’Alleanza è quella di inglobare Più Europa di Benedetto Della Vedova ed Emma Bonino.

Carlo Calenda e Matteo Renzi, condividendo l’esclusione dal quorum delle Europee, stanno constatando come le loro formazioni politiche unite avrebbero invece superato lo sbarramento del 4%.

La vera incognita rimane tuttavia quella l’astensionismo. Una indecifrabile parte del Paese che potrebbe condizionare o ribaltare l’andamento degli attuali risultati.


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