La presidente Meloni dovrebbe lasciar la caciara delle riforme, e pensare all’economia senza fare troppi errori all’estero. È per il suo bene e per quello dell’Italia. Il commento di Francesco Sisci
La doppia, delicatissima riforma sul premierato e l’autonomia differenziata è sul tavolo del Presidente Sergio Mattarella. Il governo di Giorgia Meloni la vuole, in un patto ideale con il suo alleato della Lega. Scommettono sulla presa nel Paese dei presidenti di regione, dei capi partito e del governo, le tre entità incisive emerse negli ultimi 25 anni, quando c’è stata una progressiva marginalizzazione del Parlamento. Sulla carta l’insieme di queste forze dovrebbe bastare a fare passare tutto e anche forse a guidare una maggioranza di opinione pubblica in un eventuale referendum confermativo.
Il disegno ha però bisogno di un quadro internazionale favorevole alle tendenze del governo. Potrebbe non essere così.
Meloni aveva scommesso su un successo condizionante della destra alle elezioni europee. Così non è stato. Le destre radicali sono avanzate ma non hanno scosso la maggioranza nel Pppe, guidato da Ursula von der Leyen. Meloni invece di modificare la sua posizione negli ultimi giorni pare avvicinarsi al leader radicale francese Marine Le Pen contro il presidente Emmanuel Macron. La scommessa è che Le Pen vinca nelle elezioni parlamentari di inizio luglio e sia in grado poi di condizionare Macron.
Non è detto che accada ma se accadesse?
Macron ha potere su esteri e difesa. Sfidare queste prerogative significa scuotere gli equilibri repubblicani, chiunque lo facesse avrebbe tutto lo Stato francese contro. Il principio da osservare resterebbe la “coabitazione” dove Le Pen sarebbe sotto schiaffo di Macron. Il nuovo premier francese, chiunque sia, dovrà occuparsi di economia, responsabilità ineludibile. La Francia il prossimo anno dovrà cominciare a sanare suo enorme debito e nei prossimi 12-18 mesi potrebbe saltare la catena di approvvigionamento mondiale, centrata su Cina avvitando tutta l’economia. Infatti, chiunque diventi presidente in Usa il 6 novembre porterà, al 90% delle possibilità, un peggioramento delle relazioni Usa-Cina. Quindi il nuovo governo a Parigi sotto queste spinte si logorerà rapidamente.
Altra possibilità più remota è che nei prossimi 12 mesi la Russia crolli. Sarebbe una vittoria per Macron che si è spinto contro Mosca mentre Le Pen è stata “petainista” con Putin. Certo possono esserci altre possibilità, la politica non è scienza esatta, ma nel gioco delle probabilità tra 12-24 mesi Macron può essere più forte di prima.
La sponda americana cambierebbe in modo radicale se Donald Trump fosse eletto? Possibile, ma forse improbabile perché il neo-presidente avrebbe un’agenda fittissima e le complicazioni italiane sarebbero lontane dal suo spettro di attenzione. Inoltre, negli ultimi giorni i sondaggi hanno cominciato a dare il presidente in carica Joseph Biden in testa mentre Trump ha alzato i toni della retorica spaventando quel 5-10% di elettori di centro cruciali per il risultato. Biden non ha la vittoria in tasca, ma nemmeno Trump.
Ciò non produce certezze, ma dovrebbe invitare Meloni alla prudenza. Spingere sull’acceleratore delle riforme rischia di lasciare il premier con rapporti internazionali deboli nei prossimi sei, dodici mesi, quando comunque l’Italia si troverà in una stretta economica peggiore della Francia, perché i suoi conti e il suo stato sono più deboli. La cosa potrebbe creare una tempesta in Italia già in autunno.
Una strada prudente sarebbe invece cercare un rapprochement con Macron, un distanziamento dal leader della Lega Matteo Salvini e dai suoi alleati europei. Potrebbe scegliere di navigare di rimessa fino alle elezioni americane, così da avere poi un quadro chiaro. Forse il calcolo di Meloni è “buttarla in caciara” (come dicono a Roma). Coprire l’agenda intrattabile dell’economia con quella delle riforme costituzionali magari pepando il tutto con vecchie accuse contro la Ue e l’euro. In quel caso si metterebbero in moto dinamiche diverse, difficilmente controllabili, in cui una via d’uscita potrebbe essere un nuovo governo, o il voto anticipato. Allora, tra 12-18 mesi, nessuno sa quale sarà l’orizzonte, viste le incertezze complessive. Meloni quindi rischierebbe di sparire, come è stato per tanti premier che l’hanno preceduta.
La politica è rischio ma dovrebbe essere calcolato, basato su analisi dove istinti ferini contano, ma non in modo incontrollato, come spiega il teorico della leadership Emilio Iodice. Un conservatore inglese, Martin Wolf, sul Financial Times di lunedì invitava i partiti del Regno Unito così: “Se non riusciamo ad ammettere agli elettori la dura realtà da affrontare, essi diffideranno sempre più dei politici e quindi della nostra stessa democrazia”. L’invito forse dovrebbe valere anche per il leader dei conservatori europei, Meloni.
Dunque, presidente Meloni, lasci perdere la caciara delle riforme, e pensi all’economia senza fare troppi errori all’estero. È per il suo bene e per quello dell’Italia.