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La piaga dei pirati nell’autostrada navale di Malacca

Di Antonino Parisi

Sono molti anni ormai che nello stretto di Malacca vige il fenomeno della pirateria: si tratta di un principio antico e frequente nella zona. Il motivo alla base di tale fenomeno sta nel fatto che la pirateria stessa, svolta in quell’area, offre maggiori garanzie, soprattutto a causa dell’aspetto geografico. L’analisi di Antonino Parisi, Ammiraglio della Marina militare italiana, già ufficiale di Coperta della Marina mercantile, pubblicata sulla rivista Formiche

Lo stretto di Malacca è un braccio di mare lungo quasi 900 chilometri situato tra la penisola di Malacca e l’isola di Sumatra. I suoi bordi si estendono lungo Indonesia, Malesia, Thailandia e Singapore, porta d’ingresso verso il mar Cinese meridionale e l’oceano Pacifico. Si parla quindi di due stretti tra loro collegati: Malacca e Singapore.

Quest’ultimo è, di fatto, una vera e propria autostrada marittima, dove transita circa un terzo del commercio marittimo mondiale. Si tratta di un choke point, area vitale per la prosperità economica non solo dei Paesi adiacenti, ma soprattutto dell’est asiatico, che vede coinvolte nella zona potenze e nazioni con grandi indici economici quali Cina, Giappone, Taiwan, Filippine e Corea del Sud.

Malacca è la via marittima più breve tra i Paesi del Golfo e i mercati asiatici; si tratta inoltre del secondo passaggio marittimo strategico per il trasporto di greggio dopo lo stretto di Hormuz. Stabilità, sicurezza ed equilibrio dell’area sono fondamentali per la crescita economica dei Paesi. Oltre a un aspetto puramente economico, c’è anche un aspetto geopolitico rilevante.

Gli interessi delle grandi potenze (non soltanto regionali) sono molteplici: un’eventuale crescita della tensione nella zona può creare instabilità e quindi comportare, anche sul trasporto marittimo commerciale, delle ripercussioni che creerebbero grossi danni. È dunque mandatorio mantenere l’area stabile.

Sono molti anni ormai che nello stretto di Malacca vige il fenomeno della pirateria: si tratta di un principio antico e frequente nella zona. Il motivo alla base di tale fenomeno sta nel fatto che la pirateria stessa, svolta in quell’area, offre maggiori garanzie, soprattutto a causa dell’aspetto geografico.

Vi sono infatti punti molto stretti, soprattutto vicino a Singapore, senza dimenticare i numerosi mercantili all’ancora in attesa di entrare nei porti. La pirateria si configura come crimine internazionale che si manifesta in alto mare. L’International maritime bureau (Imb) pubblica ogni anno un accurato rapporto sulla pirateria: l’ente di Kuala Lumpur evidenzia la tipologia degli attacchi compiuti nei vari teatri del continente.

Ciò che accade nello stretto di Malacca non va considerato come un fattore a se stante, che può limitare il trasporto marittimo in quelle aree, ma va incastonato all’interno di un orizzonte tematico più ampio che include altri aspetti in grado di incidere sulla libertà di navigazione. Malacca è teatro di grandi sfide globali e luogo di vaste ambizioni strategiche.

Il fenomeno della pirateria ha una rilevanza concreta dal punto di vista economico: basti pensare al valore del traffico commerciale che transita per Malacca, arteria fondamentale per alimentare la catena degli approvvigionamenti energetici e soprattutto la supply chain. C’è pertanto un ritorno economico elevato per chi svolge tale attività criminale e che può, nella fase di mediazione, chiedere riscatti cospicui.

Per avere un quadro dell’importanza strategica dell’area, dobbiamo pensare che a transitarvi sono l’80% dell’importazione energetica della Cina, il 50% del suo interscambio, due terzi del volume del suo commercio e un terzo di quello mondiale, il 40% del commercio marittimo giapponese e, infine, il 40% del traffico globale. Si parla di settantamila navi l’anno che transitano per la zona.

Il commercio marittimo, nella sua complessità, produce utili per 450 miliardi di dollari l’anno (circa il 18% del Pil mondiale). È necessario avere una visione strategica globale di cosa succede nelle varie aree di mare per comprendere in che modo l’attività di pirateria possa influenzare questi dati.

Non è certamente solo il crimine nello stretto di Malacca a condizionare l’interezza del traffico marittimo, ma se si uniscono le diverse criticità presenti nei teatri del mondo, si capisce quanto le ricadute economiche dei Paesi coinvolti nel commercio della zona siano ingenti. La somma di fattori quali pandemia, guerra, incidenti navali e blocchi imposti agli stretti incide profondamente sull’economia degli Stati.

Occorre trovare soluzioni di resilienza da applicare tempestivamente. Quella di Malacca è una zona di grande pressione sui Paesi adiacenti allo stretto: le grandi potenze insistono molto sulla necessità di mantenere l’area in equilibrio.

È chiaro come il problema non consista solo nel trovare rotte differenti: vi sono stretti alternativi, ma transitarvi comporta ritardi che, a loro volta, hanno conseguenze su tutta la catena, generando perdite in termini economici. Per evitare che il fenomeno possa avere ripercussioni più ampie, occorre ricorrere a specifiche operazioni marittime internazionali.

Paesi come Singapore, Malesia e Indonesia, capendo qual è l’importanza dello stretto e dei suoi ritorni economici, hanno costituito un gruppo navale congiunto per garantire una sorveglianza marittima più accurata e, nel contempo, minare i tentativi criminali sul nascere. Le ricadute in caso di destabilizzazione dell’area non colpiscono solo i Paesi dell’oriente asiatico.

L’occidente è lontano da quella zona, ma bisogna stare attenti: basti pensare al trasporto dell’automotive via mare, all’aspetto tecnologico, al settore di smartphone e batterie, all’ingresso di prodotti agroalimentari per rendersi conto di quanto il problema della sicurezza a Malacca abbia un carattere internazionale.

Appare evidente la necessità, da parte dell’occidente, di guardare alla pirateria nello stretto senza considerarla un fenomeno lontano. Non è sufficiente il solo controllo dell’area: l’Imb segnala che contro la pirateria ci vuole una più larga solidarietà internazionale, e bisogna che l’Intelligence sia in grado di far fronte comune davanti a un crimine di tale portata dal momento che, limitando la navigazione, si bloccano attività industriale, economia e produzione, con conseguenze sui prodotti interni di ciascuno Stato.

Formiche 202

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