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Life Sciences, l’altra sfida del made in Italy. Il dibattito alla Camera sulla Strategia nazionale

Alla Camera presentata la prima proposta per una Strategia nazionale per le Life Sciences. Investimenti sia pubblici, sia privati e regole il più omogenee possibili sono aspetti da cui non è possibile prescindere. Gli interventi di Guido Rasi, Luciano Ciocchetti, Ylenia Lucaselli e Pierluigi Paracchi

Senza scienza non c’è futuro, né sicurezza e né tantomeno benessere. E lo stesso vale per la salute. Per questo l’Italia deve dotarsi il prima possibile di una propria Strategia nazionale per le Life Sciences, quella branca delle scienze naturali che si occupa degli organismi viventi e oggi più che mai al centro della continua innovazione che sta investendo il comparto sanitario a livello tecnologico, in particolare a livello di produzione. Una proposta in questo senso è arrivata nel corso di un dibattito, promosso e organizzato a Montecitorio da Formiche e Healthcare Policy, nel corso del quale è stata presentata la prima Strategia nazionale per le Life Sciences.

Al confronto, moderato da Alessandra Maria Claudia Micelli, direttrice di Healthcare Policy e condiretrice di Formiche e tenutosi  presso la sala stampa della Camera, hanno preso parte Ylenia Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia e co-presidente dell’Intergruppo parlamentare One health, Luciano Ciocchetti, vice presidente della Commissione Affari sociali della Camera e presidente dell’Intergruppo parlamentare One health, Guido Rasi, consulente del ministro della Salute e professore di Microbiologia presso l’Università di Roma Tor Vergata e Pierluigi Paracchi, ceo di Genenta Science e moderatore del Tavolo di lavoro per l’Internazionalizzazione del settore Biotecnologico promosso dal ministero per gli Affari Esteri.

Tutti insieme per dare corpo e anima a una strategia che nasce con l’obiettivo di fornire al Paese gli strumenti necessari per posizionarsi come punto di riferimento globale nel comparto delle scienze della vita, potenziando ricerca, industria e cooperazione internazionale. E mirando alla creazione di un terreno fertile per lo sviluppo di un comparto altamente strategico, non solo per il benessere dei cittadini, ma anche per la competitività del Paese sul piano globale.

La strada da fare è però tanta. Lo dimostrano i dati dell’Efpia, la Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche, per la quale l’Italia rappresenta solo il 4% del totale degli investimenti in Ricerca e Sviluppo dell’industria farmaceutica in Europa, contro il 20% della Germania, il 14% del Regno Unito e l’11% della Francia. Inoltre, in termini di occupazione nel comparto delle Life Sciences, negli ultimi dieci anni l’Italia è rimasta pressoché stabile (-0,4%), contro i vicini europei che hanno registrato un aumento occupazionale ingente: Spagna +22%, Germania +12%, Regno Unito +7,5%. Insomma, c’è da recuperare terreno e una Strategia di respiro nazionale, elaborata per l’occasione, oltre che dai già citati Rasi, Micelli e Paracchi, da Giovanni Tria, presidente della Fondazione Enea Tech Biomedical, può essere un primo passo.

“Oggi presentiamo una proposta di Strategia Nazionale per le Life Sciences, un documento che altri Paesi hanno già adottato: Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna e anche Francia, Germania e altri Stati dell’Ue. Fra le grandi nazioni manca proprio l’Italia. Di qui l’esigenza di discutere su un testo che possa essere adottato dal nostro Governo e rappresentare una piattaforma che consenta di dialogare con le altre potenze alleate e allo stesso tempo consolidare la nostra competitività, ha premesso Lucaselli in apertura di lavori”.

“Dobbiamo focalizzarci su due aspetti: dove siamo oggi e dove dobbiamo arrivare. Sono fermamente convinta, per esempio, dell’importanza del capitale umano che si deve dedicare al mondo sanitario. Ma anche della rilevanza dei processi. E qui, su questo secondo punto, in questi anni abbiamo assistito a una rivoluzione, che non riguarda solo le biotecnologie, ma abbraccia l’intero concetto di prevenzione e cura. L’intera cura del paziente passa oggi per l’innovazione e la scienza. Attraverso queste due leve noi possiamo prevenire le patologie, alleggerendo il Servizio sanitario nazionale e curare meglio, dando una maggiore speranza ai malati”, ha aggiunto l’esponente di FdI.

“Quando poi facciamo i conti con l’invecchiamento della popolazione, dobbiamo immaginare la sostenibilità del Servizio sanitario. Per questo le nuove tecnologie, l’innovazione, possono dare una grande mano in questo senso. Il Covid ci ha insegnato che la salute non può più essere intesa come a compartimenti stagni, ma come un tutt’uno. Inevitabilmente oggi le patologie vanno esaminate e dunque affrontate in maniera sovrapposta. E la tecnoligie aiuta a trovare i punti di contatto per far sì che questo accada. D’altronde, se vogliamo traghettare la salute e la cura in una nuova dimensione, dobbiamo partire dalle nostre conoscenze. Per questo il lavoro che sta svolgendo l’intergruppo parlamentare è quanto mai prezioso, fungendo anche da stimolo per lo stesso governo”.

Un punto di vista più medico e tecnico è arrivato poi da Rasi. “Nel contesto globale, la salute gioca un ruolo centrale. Senza di essa, nessuno Stato può dirsi sicuro. In questa competizione globale, l’Italia può e deve concorrere adottando le giuste politiche. Il nostro Paese deve assumere un ruolo guida nello sviluppo delle Life Sciences, superando gli ostacoli che ancora permangono. Ma per farlo, come illustra la Strategia, occorre sostenere efficacemente la R&S, con interventi normativi mirati, ma anche e soprattutto supportare l’industria, sia da un punto di vista finanziario che di certezza del diritto”, ha messo in chiaro Rasi.

“C’è però un problema, la frammentazione delle normative. Pensiamo ai dispositivi medici, che non sono gestiti da un’unica autorità. A livello europeo ci sono delle pratiche, delle regolamentazioni, che non si incastrano come dovrebbero nelle terapie. Questo è riconducibile al fatto che la scienza va molto più veloce della legislazione e il risultato è che si lascia una parte di scienza priva della necessaria regolamentazione”, ha spiegato Rasi. Che poi ha spostato l’attenzione sul finanziamento delle terapie. “Uno degli aspetti principali è l’investimento nella Ricerca&Sviluppo. Qui la chiave potrebbe essere il partenariato pubblico-privato. Abbiamo esempi di soldi pubblici che hanno attirato decine di investitori privati, il mondo anglosassone insegna in questo senso. In Italia abbiamo risorse intellettuali enormi, eppure il 90% dei brevetti italiani vengono sviluppati altrove. D’altronde, produrre innovazione fa la differenza: i vaccini fin qui li abbiamo comprati, in futuro proviamo a vendere la nostra innovazione”.

Non poteva certo mancare una valutazione più di stampo imprenditoriale, come quella di Paracchi. Il quale è partito da una constatazione. “Le scienze della vita dal marzo del 2020, l’inizio della pandemia, sono state elevate a settore strategico da parte delle nazioni dominanti al pari di difesa ed energia. Si è compreso che l’attività di investimento e sostegno governativo al settore delle Life Sciences non ha il medesimo effetto nei Paesi con una leadership tecnologica rispetto a quelli che sono follower. In questi ultimi, come l’Italia, l’intervento governativo, ad esempio a sostegno del venture capital, rischia di supportare aziende che poi migrano verso i Paesi leader o che vengono acquisite da concorrenti attivi in quei Paesi. L’azione governativa va disegnata in modo da evitare la fuga delle imprese che sviluppano tecnologie strategiche, il cosiddetto company flight“.

Detto questo, ecco il senso profondo di una Strategia nazionale. E qui Paracchi ha dato la sua versione. “Serve una direzione da parte della politica, voglio dire, individuiamo quali sono le patologie di rilevanza nazionale. Prendiamo esempio dagli americani, che hanno un’agenzia che per prima ha finanziato la tecnologie di Moderna. In sostanza, già prima della pandemia, gli Stati Uniti avevano investito sui vaccini che poi sarebbero stati utili contro il Covid. Ma il discorso si può allargare alle terapie cellulari, tanto per fare un esempio. La domanda è, pensando all’Italia, come facciamo sostenere le aziende italiane? Serve creare un asset strategico, un contesto ancora più favorevole. In questo, aiuta l’esempio di Cdp Venture Capital, che ha inserito nelle sue linee guida proprio le Life Sciences. Bisogna arrivare alla consapevolezza che occorre mantenere in Italia gli asset strategici”.

Le conclusioni sono state affidate a Ciocchetti, che è tornato a sottolineare il lavoro dell’intergruppo. “Siamo fermamente convinti che il settore delle Life Sciences rappresenti un ambito strategico di importanza cruciale per il nostro Paese. In un mondo in costante evoluzione, l’Italia non può permettersi di restare indietro in un comparto che ha un impatto diretto sulla qualità della vita dei nostri cittadini e sul futuro della nostra economia. Stiamo facendo un lavoro strategico e fondamentale al tempo stesso. Purtroppo l’Italia sconta, dal punto di vista istituzionale, un sistema molto vecchio, che avrebbe bisogno di una revisione complessiva e non a pezzetti. Con una visione di una legislatura che dura cinque anni, questo lavoro è comunque possibile, per offrire ai cittadini le migliori condizioni di cura possibili. Questo può essere possibile solo ed esclusivamente con un’azione di sistema”. Secondo Ciocchetti, “abbiamo oggi l’esigenza di mettere mano a una riforma che assecondi la grande corsa dell’innovazione e del cambiamento. C’è l’esigenza di riportare la produzione in Italia, con investimenti importanti. Ci sono tante multinazionali farmaceutiche in Italia, ma è tempo di spingere di più sulle nostre capacità”.

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