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L’Is attacca la Russia in Daghestan. I possibili effetti sull’Ucraina letti da Jean

Se l’Is-K offre qualche possibilità di influire sul conflitto in Ucraina a favore di quest’ultima, esso potrebbe rappresentare un aiuto per Kyiv, impegnando per la sicurezza interna un’aliquota delle forze russe. L’analisi di Carlo Jean

Gli attentati dello l’Is-K contro obiettivi russi sono ormai numerosi. I più noti sono stati: nel 2022, quello all’ambasciata di Mosca a Kabul; nel marzo 2024, la strage (145 morti e almeno 180 feriti) al Crocus City Hall, teatro alla periferia di Mosca; nello scorso giugno il duplice attentato in Daghestan a una sinagoga, a una chiesa ortodossa e a forze di polizia con una ventina di vittime. Taluni hanno ipotizzato un legame fra l’aggressione russa all’Ucraina e tale attività terroristica del gruppo jihadista. I suoi interessi sembravano limitati all’Afghanistan, dove aveva avuto origine assorbendo combattenti dai Talebani, con i quali ha sempre avuto profondi contrasti. Era stato combattuto non solo dagli Usa e dalle forze governative di Kabul, ma anche dai Talebani, prima del ritiro dal paese della coalizione a guida americana. Gli attacchi erano culminati durante l’evacuazione americana con un sanguinoso attentato all’aeroporto di Kabul. Poi l’Is-K aveva allargato la sua area d’azione al di fuori dell’Afghanistan, dal Medio Oriente al Sahel, assorbendo adepti dagli altri gruppi terroristici, attirati sia dalla sua propaganda sia dalla sua brutale ferocia.

L’Is-K non ha né un territorio né un’organizzazione centralizzata. La sua azione, volta a vendicare i torti subiti nei secoli, rappresenta quasi l’adattamento dell’Islam globale al mondo multipolare sempre più frammentato, in cui la storia, con le sue contrapposizioni geopolitiche, etniche e religiose è tornata a dominare, il comportamento politico, come previsto da Huntington.  L’estrema adattabilità alle mutevoli situazioni locali e l’utilizzo della religione come strumento di mobilitazione al servizio di interessi etnici e tribali, rende difficile ogni valutazione sulla consistenza e la pericolosità dell’Is-K, nonché sul suo impatto sui conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. In proposito, si possono fare solo valutazioni generiche. Certamente è dalla parte dei palestinesi contro Israele e i suoi alleati, ma non può spingersi oltre quel tanto dato che è quasi esclusivamente sunnita e riceve soldi dall’Arabia Saudita e sostegno dalle moschee e scuole coraniche ampiamente finanziate da Riad anche in Russia e Asia Centrale.

Nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina, la questione è più complessa. Nella sua propaganda l’Is-K ha spesso espresso la sua soddisfazione per una guerra, in cui “i crociati uccidono altri crociati, facilitando la vittoria dell’Islam”. Non viene sottolineato il fatto che il conflitto distrae molte risorse del Cremlino dalla repressione della radicalizzazione crescente di molti musulmani, sia cittadini ma, soprattutto, immigrati in Russia, aumentando – come dicono a Mosca – la percentuale degli islamici “non-tradizionali” rispetto a quelli tradizionali, obbedienti all’autorità e permeati della cultura della “Madre Russia” (favorevoli anche in maggioranza, malgrado le maggiori perdite dei loro correligionari, all’aggressione in Ucraina, contestata invece dai “non-tradizionali”). L’opposizione dell’Is-K a Mosca è accresciuta dai rapporti di cooperazione di Mosca con i Talebani. Essa è derivata dalla volontà di Mosca di essere presente in Asia Centrale, compensando la crescente presenza cinese, anche nello sfruttamento delle ricche risorse naturali del paese. Da non trascurare, infine, nel Caucaso del Nord, è la volontà di vendetta contro Mosca per la distruzione di Groznyj e il sostegno a etnie islamiche lealiste, evidentemente a danno delle altre.

Va tenuto conto che nel Caucaso del Nord e in Asia Centrale, l’Is-K ha consistenti possibilità di espansione dai 3-4.000 combattenti attuali (a cui vanno aggiunti molti “lupi solitari” e militanti nascosti. Infatti, fra i Foreign Fighter operanti nel Daesh in Medio Oriente, i gruppi etnici più numerosi erano quelli provenienti dall’Asia Centrale e dal Caucaso del Nord. Tornati a casa dopo la sconfitta, i superstiti di Daesh hanno continuato a combattere non solo per l’Islam, ma anche per potere e l’indipendenza tribale.

Malgrado le dichiarazioni di vittoria del Cremlino, il Caucaso del Nord è tutt’altro che riconciliato. La “pacificazione” della Cecenia è stata raggiunta dal Cremlino con accordi con taluni capi tribali (come Ramzan Kadyrov, che ha inviato i suoi a combattere in Ucraina, in cambio di concessioni – che molti preferiscono non approfondire – come l’adozione della “sharia”, inclusa la poligamia e l’obbligo del velo.

Rispetto alle origini l’Is-K, si è notevolmente modificato. In Afghanistan agiva nel Sudest del Paese, mentre il Khorasan è una regione transfrontaliera a nordovest, che comprende parti dell’Iran, dell’Afghanistan e del Turkmenistan. A differenza del centralizzato Daesh è rimasto un gruppo molto transregionale e fortemente decentrato. I nuclei che lo compongono sono plasmati sulle multiformi realtà locali. Comprende modelli territoriali di una jihad adattata alle dispute etniche. Non vuole esercitare sovranità su un territorio. È allo stato fluido con considerevoli resilienza e capacità di sfruttare le occasioni favorevoli, derivanti dalle rivalità etniche e tribali. In Caucaso Settentrionale (fino al Tatarstan, in cui sono stati uccisi Imam tradizionalisti) e in Asia Centrale e nelle tradizioni guerriere dei loro popoli trova ottime condizioni per arruolare potenziali eroi e martiri. Non è però del tutto escluso che possano essere attivi in Russia, creando a Mosca grossi problemi di sicurezza interna. Ciò potrebbe avvenire solo con un forte sostegno saudita. Non è un’eventualità da escludere completamente. Dipenderà dal mutamento della situazione geopolitica in Medio Oriente e, soprattutto, se un asse saudo-americano si troverà in conflitto con uno russo-iraniano.

Kyiv osserva con interesse l’evolversi della situazione, su cui ha però ben poca possibilità d’influire. Peraltro anche se lo potesse fare, rinuncerebbe a sostenere l’Is-K malgrado il vantaggio di indebolire Mosca. Gli Usa non sono tanto spiritosi da far finta di nulla. Tutt’al più, preferirebbero che del “pasticcio” si incaricassero i sauditi. In conclusione, se l’Is-K offre qualche possibilità di influire sul conflitto in Ucraina a favore di quest’ultima, esso potrebbe rappresentare un aiuto per Kyiv, impegnando per la sicurezza interna un’aliquota delle forze russe, tanto più che sembra diffondersi rapidamente la radicalizzazione della crescente popolazione islamica “non tradizionale” (taluni la chiamano “zombizzazione dei cervelli”), con l’aumento del numero degli immigrati islamici e il consolidarsi degli etno-nazionalismi, anche per reazione alla martellante propaganda di Putin sull’identità russa, teoricamente comprendente anche l’Islam.



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