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Materie prime critiche, i tesori dei fondali che l’Italia non può perdere. Scrive l’amm. Caffio

Al Mimit si deve il merito di aver richiamato l’attenzione del comparto industriale minerario sulle attività dell’Autorità internazionale dei fondi marini in un recente simposio internazionale dedicato a Blue Economy e materie prime critiche nei fondali oceanici. Cosa fare per non restare indietro nell’analisi dell’ammiraglio Fabio Caffio

Al progressivo ma lento abbandono dello sfruttamento delle risorse marine fossili si accompagna il sempre più spinto interesse per la blue economy delle materie prime critiche. Si tratta di minerali impiegabili nel campo digitale, delle energie rinnovabili, dello spazio e della difesa. Sinora, l’industria estrattiva in mare di idrocarburi liquidi e gassosi aveva avuto un ruolo preponderante nelle economie dei Paesi più sviluppati.

Si pensi al Mediterraneo Orientale dove la così detta “territorializzazione” dell’alto mare causata dalla proclamazione di Zone economiche esclusive (Zee) non è altro che accaparramento di spazi di Piattaforma continentale nei cui fondali si celano ingenti quantità di gas. Il Pil di alcuni Stati si è accresciuto dopo la scoperta di questi giacimenti.

Le tensioni geopolitiche tra Paesi come Grecia, Turchia, Cipro, Egitto, Israele e Libano che ne derivano sono legate alle difficoltà a concludere accordi di sfruttamento congiunto e di delimitazione.

Anche l’Italia è coinvolta in questa situazione, avendo contenziosi con Algeria e Malta: pur avendo istituito la Zee non ne abbiamo ancora fissato i limiti sia per cautela diplomatica, sia per remore a sfruttare le risorse dei nostri fondali per motivi ambientali. Eppure, oltre a ingenti quantità di metano potrebbero esserci ad est della Sardegna vari giacimenti di noduli polimetallici contenenti, tra l’altro, rame nichel, manganese e cobalto. Mentre, nel Tirreno, sono stati individuati in corrispondenza delle aree vulcaniche sottomarine formazioni minerarie di terre rare, solfuri e croste polimetalliche (v. Il Mare, Mise, 2020, 17).

Giustamente il Mimit, in applicazione del Regolamento del Consiglio Ue sulle materie prime critiche, ha cominciato ad interessarsi allo sfruttamento dei siti minerari italiani che li contengono, adottando un’apposita normativa in coordinamento col ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che è l’amministrazione competente per il rilascio delle concessioni minerarie. Per ora si tratta di giacimenti su terraferma. Ma non è escluso che in seguito, quando le tecnologie estrattive in fondali profondi garantiranno la necessaria sicurezza ambientale, si possa procedere all’estrazioni dei minerali giacenti sulla piattaforma continentale italiana.

Le prospettive future dello sfruttamento in mare delle materie prime critiche sono state delineate nel nostro Piano del Mare del 2023 recependo le indicazioni formulate nel White Paper sul Mondo Subacqueo redatto nel 2023 dalla Fondazione Leonardo retta da Luciano Violante in sinergia con la Marina militare.

Lo stesso Piano sottolinea l’importanza per l’Italia della partecipazione alle attività estrattive di tali materie prime nell’Area internazionale dei fondi marini gestita nel Pacifico, al di là degli spazi di giurisdizione nazionale, dall’Autorità internazionale dei fondi marini (Ise) di cui siamo il sesto contributore mondiale.

Al Mimit si deve il merito di aver richiamato l’attenzione del comparto industriale minerario sulle attività dell’Ise in un recente simposio internazionale dedicato a Blue Economy e materie prime critiche nei fondali oceanici.

Il nostro Paese aveva già cominciato a sfruttare questa opportunità con l’Eni che a fine anni Ottanta del secolo scorso operava con la sua controllata Samin Ocean Inc. Se ora vorrà continuare a farlo dovrà però preliminarmente aggiornare la normativa – a suo tempo emanata provvisoriamente con a legge 41-1985 – relativa alla concessione da parte del Mase delle autorizzazioni alle imprese nazionali che vogliano svolgere attività nell’ambito dell’Ise.


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