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Investimenti ed eurobond, in Ue nessuno si salva da solo. L’agenda Meloni

Alla vigilia del Consiglio europeo di fine giugno e nell’attesa del von der Leyen bis, il premier torna a puntellare l’agenda economica del Continente. Non è più tempo di cani sciolti, se si investe bisogna farlo in gruppo. Alla difesa servono gli eurobond. Attenti al mito del mercato elettrico ma la Cina va comunque fermata

Al mondo, e anche all’Italia, serve un’altra Europa. Quante volte sarà frullata nella testa di Giorgia Meloni l’idea di provare a disegnare, sull’onda dei verdetti usciti dalle elezioni europee, un Continente finalmente libero, autonomo dalla morsa di Stati Uniti e Cina. E così, quando il premier, poco prima delle 9, ha varcato la soglia dell’Aula di Montecitorio, per le consuete comunicazioni che precedono il Consiglio europeo del 27 giugno, uno degli ultimi prima dell’insediamento del nuovo governo comunitario (molto probabilmente con ancora Ursula von der Leyen al timone), il senso del discorso è stato subito chiaro.

Dieci giorni fa da Bruxelles sono piombate sei procedure per disavanzo eccessivo, Italia inclusa, che imporranno ai Paesi i cui deficit sono scappati di mano sacrifici e operazioni di chirurgia contabile a bilancio aperto. Non è possibile immaginare che, l’imminente ritorno del Patto di stabilità, sancisca quel salto al passato dal retrogusto di austerity che l’Europa non può certo permettersi, sempre che voglia tornare a competere al livello globale e liberarsi dal metadone cinese sul mercato della mobilità.

BASTA COI SOLISTI D’EUROPA

E allora, “un punto molto importante all’ordine del giorno del Consiglio è l’adozione dell’agenda strategica 2024-2029: l’Italia ha chiesto e ottenuto che vengano richiamati due principi cardine della costituzione europea: il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. L’Ue dovrà concentrarsi sui grandi temi strategici ed evitare di occuparsi di quei settori in cui gli Stati nazionali possono ottenere risultati migliori. E abbiamo richiamato il tema delle risorse: è impensabile che un singolo Stato membro, anche il più forte, possa affrontare gli investimenti necessari per alcune delle grandi sfide che l’Europa ha davanti: competitività, transizione, sicurezza, migrazioni. Ed è essenziale che ci siano risorse e strumenti adeguati per gli investimenti ed è essenziale stimolare gli investimenti privati”, ha chiarito Meloni, lanciando un messaggio che può suonare così: di solisti in passato se ne sono visti fin troppi, oggi il mercato non permette più l’agire in ordine sparso.

NIENTE DIFESA EUROPEA SENZA EUROBOND

Di qui a invocare gli eurobond, sponda difesa, il passo è stato breve. “L’Ue dovrà occuparsi di come dotarsi di una politica di sicurezza e difesa all’altezza del proprio ruolo: ci eravamo illusi che la pace avrebbe contagiato i vicini, la storia è andata diversamente. Così come ci siamo crogiolati nell’idea che qualcun altro avrebbe garantito la nostra sicurezza, è stato un errore”, ha sottolineato Meloni. “Bisogna accelerare sulla strada di una politica industriale di difesa. E dobbiamo assumerci le nostre responsabilità: la libertà e la sicurezza hanno un costo e per avere la pace ai confini dobbiamo essere capaci di realizzare la deterrenza, a maggior ragione per costruire quel solido pilastro europeo della Nato che possa affrontare le nuove sfide alla sicurezza. Spendere in difesa significa investire in autonomia, difendere interessi nazionali, contare e decidere, questa è la strada che deve seguire l’Europa” ma è “fondamentale il nodo delle risorse per fare salto di qualità”. E dunque, l’affondo. “Abbiamo accolto positivamente i passi in avanti fatti dalla Bei, spero che possa ulteriormente incrementare gli investimenti. Ma è necessario anche un dibattito per soluzioni innovative come le obbligazioni europee”.

MENO DIPENDENZA DALLA CINA

Un altro passaggio è stato dedicato all’avanzata, apparentemente inarrestabile, della Cina sul mercato della mobilità elettrica. Due settimane fa l’Europa ha imposto dazi fino al 40% sulle importazioni di auto cinesi nel Continente. Meloni ha però fatto una premessa. “Nessuno ha mai negato che l’elettrico possa essere una parte della soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti, ma non ha alcun senso autoimporsi il divieto di produrre auto a diesel e benzina a partire dal 2035 e condannarsi di fatto a nuove dipendenze strategiche come l’elettrico cinese. Sostenere il contrario è stata semplicemente una follia ideologica che lavoreremo per correggere”.

Questo perché “ridurre le emissioni inquinanti è la strada che vogliamo seguire ma con buon senso e concretezza, sfruttando tutte le tecnologie disponibili senza andare a scapito della sostenibilità economica e sociale difendendo e valorizzando le produzioni europee e salvaguardando decine di migliaia di posti di lavoro”, ha aggiunto la premier. Detto questo, la dipendenza strategica dalla Cina rimane un problema per l’Ue. “La Cina è un grande attore, vogliamo portare avanti il dialogo, anche su base bilaterale, ma come sempre si fa tra persone oneste, bisogna darsi delle regole per garantire, in modo particolare, che le imprese che operano sui mercati globali possano farlo con le stesse regole: il mercato libero è una grande conquista, ma perché lo sia davvero la precondizione è che sia equo, che tutti abbiano le stesse condizioni ed è proprio questa la base del dialogo”.

LA BUROCRAZIA CHE FA MALE A CHI INVESTE

Nell’Europa in testa a Meloni c’è anche un’altra catena da spezzare, quella della burocrazia, che ingessa, anche sul versante dell’Antitrust (il caso Ita ne è un esempio), investimenti e crescita. “L’obiettivo deve essere far sì che l’Europa sia un luogo in cui è conveniente investire, il principio deve essere non disturbare chi vuol fare, essere più attrattivi degli altri e per far questo occorre disboscare pesantemente la selva burocratica, che ha creato un percorso a ostacoli per le imprese, soprattutto le piccole. Il presidente del Consiglio europeo dovrebbe prevedere una delega specifica alla sburocratizzazione, per mostrare un cambio di passo”.


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