Di grande portata internazionale, gli effetti del G7 italiano rappresentano non soltanto un grande successo personale per la presidente del Consiglio, quanto l’avvio di un processo di trasformazione della governance del Pianeta, fino a pochi decenni addietro affidato all’Onu. Una metamorfosi che vede come coprotagonista anche papa Francesco. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Col mondo libero per un mondo libero. Oltre alla sfida vincente contro la Russia neo sovietica di Putin e la Cina liberticida ed economicamente famelica, il vero grande risultato del G7 made in Italy è quello di avere creato l’alternativa operativa rispetto alla totale paralisi dell’organizzazione delle Nazioni Unite, che a quasi 80 anni dall’istituzione é praticamente un morto che cammina. Un risultato non conclamato, ma più concreto e lungimirante di tanti proclami.
Il G7 a trazione Giorgia Meloni ha trasformato il vertice dei leader dei Paesi liberi più industrializzati, allargato alla storica partecipazione del papa, nonché delle nazioni e degli organismi cardini degli equilibri economici e strategici internazionali come l’India, il Brasile, il Fondo Monetario internazionale, la Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo, il Kenya, l’Algeria, la Tunisia, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti, in una assise che rappresenta l’esempio di come un mondo senza pace, libero mercato, libertà e diritti civili sia come un corpo senza lo spirito.
Assieme alla premier, protagonista assoluta del presente e del futuro del G7 formato Onu, l’altro grande interprete del vertice planetario è papa Francesco che mette a segno un’exploit internazionale epocale, riuscito a pochissimi suoi predecessori: Urbano II che nel 1095 avviò le Crociate, Leone III che nella notte di Natale dell’800 incoronò in San Pietro Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero, Giovanni XXIII il pontefice del Concilio che sussurrò la pace all’orecchio del russo Nikita Krusciov e dell’americano John Kennedy e Giovanni Paolo II il Papa polacco che sconfisse il comunismo.
Giunto al culmine di un travagliato pontificato che mette la Chiesa universale di fronte alle problematiche dell’evoluzione tecnologica e scientifica, della coesistenza pacifica e delle spinte primordiali alla guerra, Bergoglio assume di fatto il ruolo di assistente spirituale dell’umanità e dei maggiori governanti del Pianeta. Un ruolo fino a ieri inimmaginabile per il Vaticano. La partecipazione del Papa rafforza sul piano internazionale il valore del documento finale dl G7 che concede 50 miliardi di aiuti e sostegno economico e politico all’Ucraina, mette in guardia Russia e Cina dal proseguire l’aggressione, militare per quanto riguarda Mosca, ed economica per Pechino nei confronti dell’Europa, riconosce il diritto all’autodifesa di Israele, ma mette in guardia il premier Netanyahu dal proseguire un’offensiva su larga scala a Rafah che avrebbe ulteriori conseguenze disastrose sui civili e chiede espressamente all’Iran di cessare la sua azione bellica destabilizzatrice in Medio Oriente.
Assieme ai temi della pace e della coesistenza pacifica, al G7 papa Francesco ha perorato in particolare l’esigenza che l’uomo non venga trasformato in “cibo per gli algoritmi” e ha sollecitato “modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale” e contrastarne l’utilizzo “nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico”. Una posizione all’avanguardia condivisa da tutto il vertice.
Così come unanime è stato l’appoggio agli accordi per garantire la sicurezza dell’Ucraina. Al G7 sono rimbalzate le analisi delle intelligence anglo americana, della Nato ed europee sull’esaurimento dell’ultima offensiva scatenata a maggio dall’armata russa sul fronte di Karkiv. Nonostante il sacrificio di continue ondate di soldati lanciati all’assalto delle posizioni ucraine, l’apporto degli armamenti occidentali forniti nelle ultime settimane a Kyiv ha scongiurato lo sfondamento russo. La fallita invasione, è l’ipotesi più accreditata a Borgo Egnazia, sta diventando sempre più una trappola inestricabile dalla quale Putin cerca di uscire alzando i toni del confronto nucleare. Pur con tutte le dovute cautele, per gli analisti di strategie militari di Washington e Londra si tratta tuttavia di bluff perché nonostante le punte avanzate dei sommergibili atomici di ultima generazione e del programma satellitare in fase di realizzazione, in realtà il potenziale militare di Mosca é assolutamente insufficiente, e quel che é peggio inefficiente, come dimostra il disastro dell’attacco all’Ucraina.
Soprattutto a livello convenzionale l’apparato bellico russo è nettamente sovrastato intanto dalle forze Nato, per non parlare delle forze armate degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, sia per quanto riguarda missili e aviazione, comprese le nuove unità per l’impiego dei droni, sia per quanto riguarda la marina, che schiera avveniristiche unità navali e droni stealth di superficie e subacquei, sia per quanto riguarda l’esercito che comincia ad avvalersi dei primi reparti di soldati e mezzi corazzati robot.
Un potenziale convenzionale che Mosca ha in gran parte perduto negli oltre due anni di guerra in Ucraina, durante i quali lo Shape della Nato, il quartier generale dell’alleanza atlantica, ha avuto modo di studiare e calcolare punti deboli e caratteristiche peculiari per neutralizzare l’armata russa, comprese le forze strategiche nucleari di Mosca.
In attesa che Putin batta un colpo e, senza ricorrere al consueto gioco sporco dell’intelligence moscovita, trovi il modo di avviare concreti negoziati di pace, il G7 ha iniziato a restringere sul serio l’agibilità non soltanto economica e finanziaria quanto diplomatica e internazionale della Russia.
I pesanti dazi europei sulle auto elettriche cinesi sono un chiaro avvertimento a Pechino affinché non supporti ulteriormente lo sforzo bellico di Mosca e spinga Putin a negoziare quanto meno una tregua. Secondo quanto trapela da Pechino tutte le parole del G7 made in Italy non hanno lasciato un’impressione tanto profonda quanto la sola iniziativa dei dazi di Bruxelles.