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Il Mezzogiorno non è un deserto industriale. La versione di Cianciotta

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Se fosse uno Stato sarebbe al settimo posto tra i Paesi d’Europa per numero di imprese manifatturiere. Nel 2023 è cresciuto più delle altre aree del Paese. E la tendenza può migliorare ancora con l’attuazione della Zes Unica e il Pnrr. Il commento di Stefano Cianciotta, componente della Segreteria tecnica della Zes Sud

Il Mezzogiorno non è il deserto industriale che talvolta viene dipinto. Se fosse uno Stato sarebbe al settimo posto tra i Paesi d’Europa per numero di imprese manifatturiere, con una marcata concentrazione in settori chiave come la siderurgia (Puglia), l’aerospazio (Campania e Puglia), l’automotive (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata), l’agroalimentare (Puglia, Campania, Abruzzo, Sicilia), l’abbigliamento-moda (Campania soprattutto) e il farmaceutico (Abruzzo), la meccatronica e l’Ict (Sicilia, Cluster di Catania), senza considerare la ricchezza e le potenzialità del turismo, che sarà incluso tra i settori industriali del nuovo Piano Strategico della Zes Sud.

A fine 2023, come ci ha ricordato la recente analisi di European House Ambrosetti, le società di capitale attive nel Mezzogiorno erano oltre quattrocentomila, il 30% del totale italiano.

Il dato diffuso in questi giorni dallo Svimez, che ha calcolato per il 2023 il Pil delle regioni del Sud (+1,3%) superiore a quello delle regioni del Nord (+ 0,9%), e a quello dell’Italia centrale (0,4%), ci consente di procedere a delle brevi riflessioni sul peso del comparto industriale e sullo sviluppo del Mezzogiorno una volta che la Zes Sud dispiegherà i propri effetti.

Se il rallentamento delle regioni del Nord, soprattutto della Lombardia, si spiega con il forte legame di questa area del Paese con l’industria tedesca, che nell’ultimo biennio ha conosciuto una evidente deindustrializzazione, come leggere il successo delle catene del valore nel Mezzogiorno?

Negli ultimi decenni chi ha proceduto ad analizzare il rapporto tra l’innovazione, la ricerca e l’industria nel Mezzogiorno ha sempre evidenziato gli aspetti negativi di alcuni comportamenti, a volte patologici (la presenza della criminalità organizzata e la corruzione certamente i più evidenti), ma tranne poche eccezioni (Federico Pirro è stato tra i pochi a riconoscere il valore industriale del Mezzogiorno), la narrazione è avvenuta sempre in un’unica direzione.

Oggi, invece, abbiamo finalmente preso atto che, nonostante le diverse difficoltà e una pervasiva presenza della burocrazia, che il Mezzogiorno non solo innova grazie alla qualità della sua ricerca e ad una relazione diretta con il sistema delle imprese, ma che ha una qualità della vita in diverse aree superiore alle regioni del Nord, a dispetto anche delle graduatorie che vengono pubblicate periodicamente.

Con l’attuazione della Zes Sud, la realizzazione delle opere del Pnrr (si pensi solo alle infrastrutture ferroviarie), la rinnovata centralità del Mediterraneo e il Piano Mattei del Governo, il Mezzogiorno è destinato a crescere ancora trasformandosi di fatto in uno degli hub energetici più importanti in Europa (basti pensare alle connessioni di Terna e Snam con i Paesi del Nord Africa e dei Balcani).

Come è noto la novità della Zes unica voluta dal governo Meloni è che si passa dalla frammentazione dei centri decisionali a un’unica struttura, superando nei fatti la diversificazione delle strategie territoriali per approdare a un solo Piano triennale, la cui approvazione è prevista a breve.

Dalla selezione dei territori beneficiari, avvenuta in alcuni casi con criteri discutibili, si arriverà alla concorrenza diffusa tra tutte le aree meridionali.

La Zes unica può costituire una grande sfida per l’Europa e il Mezzogiorno se il governo riuscirà a superare il dualismo centro-periferia creando una visione organica delle vocazioni territoriali, inquinate dalle stratificate e ataviche rendite di posizione e dall’ostracismo dei localismi.

A fine 2024, quando avremo la consistenza dei primi interventi presentati, possiamo avere un bilancio più puntuale della Zes Sud.

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