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Che cosa rimane del G7? Il bilancio dell’amb. Castellaneta

Meloni ha avuto il merito indubbio di conferire al vertice un forte significato politico, con l’Italia che ha cercato di costruire ponti con i Paesi ospiti in modo da ridurre la distanza tra Occidente e il cosiddetto Global South. Il comunicato lungo 36 pagine riflette però un fenomeno progressivo che dura ormai da diversi anni: la mancanza di concretezza dei summit. L’analisi di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

Si è concluso il summit G7 di Borgo Egnazia, ospitato da Giorgia Meloni, che ha fatto gli onori di casa in due giorni intensi in cui sono convenuti la maggior parte dei leader globali più importanti: per la prima volta in un G7 ha partecipato il Papa, mentre mancavano praticamente solo il leader cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin.

Quale bilancio si può trarre? Il vertice è stato certamente influenzato dalla difficile congiuntura politica emersa all’indomani delle elezioni europee, con il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz indeboliti dai risultati in Francia e Germania e il britannico Rishi Sunak ormai prossimo a lasciare Downing Street in vista del voto di inizio luglio che – a meno di improbabili miracoli – decreterà la sonora sconfitta dei conservatori.

Paradossalmente, è stata dunque un’occasione per Meloni, presidente del Consiglio, per presentarsi come leader autorevole e politicamente stabile, premiata dalle preferenze ottenute alle europee. Tuttavia, il G7 pugliese ha prodotto pochi risultati concreti, a eccezione dell’accordo di massima raggiunto sui 50 miliardi di dollari di asset russi congelati da mettere a disposizione dell’Ucraina per esigenze di bilancio, spesa militare e ricostruzione. Da una parte, questa decisione ha consentito di compattare una volta di più le potenze occidentali, dribblando anche discussioni “scomode” sulla fornitura di armi e truppe grazie anche al ridimensionamento delle “coraggiose” proposte di Macron fatte in campagna elettorale. Dall’altra, però, questa mossa rischia di alzare ulteriormente la tensione con la Russia, la quale ha promesso ritorsioni proprio nel giorno in cui è stata anche annunciata una visita di Putin in Corea del Nord. Sembrano lontani davvero anni luce i tempi in cui Mosca faceva parte del G8 e sembrava ormai aver abbracciato il gruppo delle potenze occidentali.

Meloni ha avuto il merito indubbio di conferire al vertice un forte significato politico, con l’Italia che ha cercato di costruire ponti con i Paesi ospiti (di cui molti membri del G20 tra cui Argentina, Brasile, India, Turchia) in modo da ridurre la distanza tra Occidente e il cosiddetto Global South, ultimamente apparso sempre più distante dalle democrazie liberali. Eppure, la mancanza di concretezza dei summit G7 è un fenomeno progressivo che dura ormai da diversi anni e che dovrebbe essere affrontato riportando questo forum multilaterale alle origini di quasi 50 anni fa, quando le discussioni tra leader riguardavano solo le più stringenti questioni di economia e politica estera.

Oggi, invece, si producono dichiarazioni lunghissime e difficilmente leggibili: il comunicato siglato ieri a Borgo Egnazia ammonta a 36 pagine, un sintomo che sarebbe forse più efficace focalizzarsi su alcune priorità ben individuate piuttosto che affrontare tutto lo scibile della società odierna includendo persino discussioni su temi etici come l’aborto che, in qualunque modo la si pensi, dovrebbe essere discusso in altre sedi internazionali più appropriate. È evidente che non sia possibile parlare di tutti i problemi globali in un giorno e mezzo, con il rischio che il summit si riduca a una mera “compilation” di dichiarazioni dei leader e non a una discussione vera e propria. Occorre tornare a un G7 più sobrio e teso a risultati concreti e meno mediatici per evitare che si trasformi nel “festival di Sanremo” dei leader internazionali.

Archiviato il summit G7, si volta pagina e si guarda ai prossimi appuntamenti internazionali. A partire dalla conferenza di Lucerna sulla pace in Ucraina, dove però mancherà al tavolo il Paese aggressore che fino a oggi si è rifiutato di intraprendere qualsiasi discussione costruttiva volta a concludere le ostilità. Il 27 e 28 giugno seguirà un importante Consiglio europeo, che sarà un “test” per analizzare i nuovi equilibri politici emersi dopo il voto delle elezioni europee, mentre sullo sfondo continua ad aleggiare lo spettro della guerra a Gaza. Il G7, insomma, è circondato non da temporali estivi e passeggeri, ma da tempeste durature dalle quali speriamo di uscire al meglio. L’Italia si trova al centro di questa tempesta ma al momento ha un governo più solido rispetto ai partner: ne derivano dunque maggiori responsabilità per il governo Meloni, che davanti a sé ha una grande opportunità per far contare di più l’Italia nel mondo seppure in un contesto rappresentato da sfide molto impegnative.

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