Seconda puntata di uno speciale sui gruppi che siederanno nel nuovo euro-emiciclo, questa volta tarato su mosse e aspirazioni dei Popolari. Il partito resterà centrale, ma con due opzioni distinte. Tutto dipenderà dalla mole dei voti…
Tra i 705 deputati che siedono nel Parlamento europeo (di cui 76 italiani) ve ne sono 176 che rappresentano il gruppo più folto. I popolari del Ppe sono stati perno delle istituzioni comunitarie di ieri e hanno ottime possibilità di esserlo anche nel prossimo quinquennio, alla luce di numeri sostanzialmente imprescindibili e di leader come Manfred Weber, Ursula von der Leyen, Antonio Tajani, che sono un punto fisso. Il dubbio riguarda il novero delle alleanze, ovvero se sceglieranno di confermare lo schema delle larghe intese a cui già i sondaggi di oggi attribuiscono la maggioranza per Popolari, socialisti e liberali, oppure se imboccare una strada mai battuta prima in Europa: quell’alleanza di centrodestra sul modello italiano con i conservatori di Giorgia Meloni e le destre di Identità e democrazia, queste ultime depurate della componente tedesca di Afd.
Il programma
Il partito guidato da Manfred Weber, di cui fa parte Forza Italia, ha chiari in mente i propri obiettivi programmatici: in primis il no alla cosiddetta impronta regolatrice tanto cara alla sinistra, che però era alleata del Ppe negli ultimi anni: la plastica raffigurazione di tale unione si ritrova nella direttiva Timmermans sull’addio al motore a scoppio che ha provocato contrarietà sia nel Ppe che nelle destre. Gli ambiti di riferimento che Weber da tempo cita sono imprese e agricoltura, a cui invece il Ppe punta a rispondere con una strategia di mercato e meno ideologica. Stesso cliché sul fenomeno migratorio, dove la posizione ufficiale è che l’immigrazione illegale deve essere fermata. “Il pacchetto asilo dell’Ue rappresenta un passo importante verso questo obiettivo” è la tesi di Weber.
Se c’è una discriminante nei programmi ufficiali del Ppe (e anche nelle riflessioni a microfoni spenti) è l’impossibilità dei Popolari a lavorare con partiti che mettono in discussione l’Europa. Una considerazione che, seppur ovvia e pluricitata, è utile da sottolineare ulteriormente anche per tradurre i recenti movimenti del gruppo delle destre, come l’allontanamento di Afd dal gruppo ID dove sono iscritti Lega e Rn.
Bivio centro e destra
Il quesito che va per la maggiore è cosa farà il Ppe dopo le elezioni europee, allorquando il prossimo Parlamento dovrebbe essere caratterizzato da un rafforzamento del blocco dei partiti di destra. Interrogato apertamente su una possibile forma di cooperazione con Giorgia Meloni, Weber ha replicato pubblicamente che “tutti i democratici che sono in grado di dare un contributo affinché l’Europa possa andare avanti insieme e risolvere i problemi sono miei partner, sulla base dei nostri valori”. Ed eccoli i principi su cui poter intavolare una base comune: mai con partiti che mettono in discussione l’Europa o il sostegno all’Ucraina o allo Stato di diritto. E cita i governi di Giorgia Meloni o Petr Fiala che stanno lavorando “in modo costruttivo al tavolo europeo”. Più di un indizio per chi scommette su una prospettiva di centrodestra, in antitesi alla consueta grossa coalizione con socialisti e liberali che, al momento, resta ancora l’ipotesi più probabile sul tavolo.
Tutto dipenderà dalla mole dei voti, ma verosimilmente si possono già abbozzare alcuni numeri: se il Ppe restasse il primo gruppo con più di 175 seggi e se le destre di Conservatori e ID salissero al secondo posto con 165, ecco che le possibilità di uno schema all’italiana salirebbero. La garanzia in questo senso, politica e personale, sarebbe Giorgia Meloni.