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Può l’Ucraina vincere con la guerra difensiva? Risponde il generale Jean

Taluni affermano che l’Ucraina non può “vincere” con una guerra solo difensiva, a parer mio la sola compatibile con le sue risorse umane e materiali. Vietnam e Afghanistan sono esempi al riguardo. L’analisi della situazione sul campo del generale Carlo Jean

Dalla fine dell’offensiva ucraina del settembre 2022 il fronte in Ucraina è rimasto praticamente immutato. La guerra da manovrata si è trasformata in una di attrito. Ha dominato l’artiglieria. Le perdite sono state elevate da entrambe le parti. Le città e le infrastrutture ucraine hanno subito gravi danni, che non hanno però fiaccato la volontà di resistenza della popolazione, malgrado il disastroso fallimento della controffensiva su cui Zelensky – contrariamente ai capi militari americani incominciato– aveva riposto tante aspettative.

La crisi delle difese ucraine è avvenuta alla fine del 2023 per i ritardi dei vitali rifornimenti americani, specie di munizioni. È stata contenuta con il sacrificio delle fanterie ucraine. Alle carenze materiali si sono aggiunte per Kyiv quelle di soldati. I russi hanno incominciato ad avanzare, seppure lentamente. Le opinioni pubbliche occidentali hanno dato gli ucraini per sconfitti. Si sono moltiplicate le affermazioni che, di fronte alla superiorità russa materiale e umana, la continuazione della resistenza fosse inutile, se non criminale. Seguendo la “voce del padrone” sono cominciate anche a circolare voci sul fatto che Kyiv avrebbe rifiutato, su pressione occidentale, una generosa offerta di pace da parte del Cremlino, formulata già nel marzo 2022. È una “balla” della propaganda, smentita da Foreign Affairs. Era solo una bozza iniziale, nella quale gli ucraini prevedevano di mantenere 850 carri, mentre i russi erano disponibili a lasciarne loro 200.

La situazione è mutata a maggio 2024. I russi hanno esteso i loro attacchi a nord del fronte del Donbas, nella zona di Kharkiv. L’obiettivo dichiarato è di creare una “zona cuscinetto” per porre la città russa di Belgorod al di fuori della gittata dell’artiglieria ucraina, ma – verosimilmente – per obbligare l’Ucraina a spostare le riserve, sguarnendo il fronte del Donbas, che rimane luogo dello sforzo principale. Il Cremlino ha schierato circa 50.000 uomini. L’attacco potrebbe essere esteso ancora più a nord, verso Sumi, obbligando gli ucraini, che già incontrano difficoltà a resistere a Kharkiv, a spostare altre forze verso nord. Per inciso, desta stupore come l’attacco russo – che avrebbe dovuto essere travolgente e attuarsi di sorpresa in profondità – sia stato tanto lento e limitato. Oggi che gli ucraini incominciano a ricevere i nuovi aiuti americani e che possono colpire le forze e la logistica del Cremlino in territorio russo, appare probabile che la manovra fallisca e che si torni ad una guerra di logoramento.

Teoricamente la Russia dovrebbe avere prima o poi la meglio. Agli ucraini non resterebbe altro che continuare la resistenza con le strategie e tattiche della guerriglia, sostenuta dall’Occidente con un’organizzazione del tipo “Stay Behind” (Gladio).

A questo riguardo occorre precisare il significato di “vittoria”. A parer mio, vi è sempre stato un grosso equivoco al riguardo, alimentato dalle opposte propagande di Kyiv e di Mosca. Per Putin, vittoria significa “de-nazificazione”, smilitarizzazione e mutamento a Kyiv del regime nato con quello  che chiama “colpo di Stato di Maidan”. L’Ucraina perderebbe la sua sovranità e identità, assorbite – come prescrive secondo Putin la “Storia” in quelle della “Madre Russia”, previa “rieducazione” del popolo. Putin, poi, imbarcatosi nell’avventura, ha posto in gioco il suo potere. Non cederà facilmente, anche perché gode del sostegno dell’opinione pubblica umiliata negli ultimi trent’anni. Il conflitto durerà a lungo. Ogni compromesso sarà difficile.

A parer mio, per l’Ucraina, il mantenimento della completa integrità territoriale del 1991 non presenta un imperativo assoluto, qualche cessione territoriale sarebbe possibile. Assolutamente irrinunciabili sono invece serie garanzie di sicurezza, che forse verranno abbozzate da Biden nella sua prossima visita a Kyiv. Irrinunciabili sono anche la partecipazione ai blocchi occidentali e uno sbocco al mare. Si tratterebbe di “bocconi amari” per Mosca. Prima o poi dovrà rassegnarsi, soprattutto quando sarà mobilitata l’industria occidentale degli armamenti e crescerà la dipendenza dalla Cina.

Taluni affermano che l’Ucraina non può “vincere” – beninteso nel senso che si è dato di vittoria – con una guerra solo difensiva, a parer mio la sola compatibile con le sue risorse umane e materiali. Vietnam e Afghanistan sono esempi al riguardo. Anche la Russia non può superare un certo livello di perdite e di durata del conflitto. Gli entusiasti per le performance dell’economia russa sotto sanzioni dimenticano di menzionare che il tasso d’interesse è al 16%. Dovrà pur dire qualcosa! Beninteso, anche in Occidente non sono tutti fiori! Non credo che il problema sarà l’eventuale presidenza Trump. Basta assistere ai “talk Show”, per accorgersi come il livello di cultura strategica – e non solo! – sia limitato. La “perla” della settimana è stata l’affermazione di un candidato alle elezioni europee. Secondo lui occorre sopprimere la Nato perché, autorizzando l’uso sulla Russia delle armi di un Paese dell’Alleanza sulla Russia, potrebbe suscitarne la rappresaglia, obbligando gli altri Paesi ad entrare in guerra. In altre parole, prende sul serio il “bullismo” del Cremlino, che ne maschera la debolezza con la consapevolezza che il sistema di deterrenza della guerra fredda è tuttora funzionante.

Chiaramente il “nostro” ignora infine che l’art. 5 del TNA non prevede automatismi militari, i quali sono invece prescritti dall’art. 42.7 del Trattato di Lisbona. Invece di discettare di strategia, andare a raccogliere pomodori!

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