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Prelievi russi sui circuiti cinesi. Il rapporto intelligence di Bankitalia

Le frodi fiscali continuano a caratterizzarsi per il trasferimento di proventi illeciti all’estero tramite strutture complesse e difficili da tracciare, come le imprese “cartiere”. Operazioni come Fast & Clean e Cash Express della Gdf hanno svelato l’altra faccia della medaglia: l’underground banking

Nel 2023 ci sono stati “cospicui prelievi di contante da ATM con carte emesse da intermediari russi a valere di un circuito di pagamento cinese”. Si tratta di prelievi, concentrati in grandi città e in alcune province del Centro-Nord dell’Italia, “nettamente cresciuti, per frequenza e importi, dopo l’invasione dell’Ucraina e la conseguente estensione delle sanzioni internazionali contro soggetti ed entità della Federazione Russa”. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia, istituita presso la Banca d’Italia.

“Il consistente ammontare complessivo dei prelievi è agevolato da elevati limiti quantitativi per singola operazione e dalla possibilità di reiterare i prelevamenti presso il medesimo punto fisico”, ha spiegato il direttore Enzo Serata. Un fenomeno “analogo”, ha aggiunto, “è stato riscontrato con carte emesse da un intermediario di un Paese dell’Unione europea”. Alla luce di queste analisi, frutto di un progetto innovativo di collaborazione con un primario istituto bancario, si è consolidata “l’esigenza di prevedere comunicazioni oggettive dei prelievi effettuati in Italia con carte estere” ed “è stata avviata una consultazione informale finalizzata alla definizione di tale rilevazione”, ha dichiarato il funzionario.

Ampio spazio nel documento è dedicato alle frodi fiscali caratterizzate dal trasferimento dei relativi proventi all’estero, “in particolare verso la Cina”. In questi contesti, è stata riscontrata “una diffusa presenza di Iban virtuali che rendono difficile la tracciabilità dei flussi finanziari”, si legge. Al centro delle segnalazioni relative a illeciti fiscali “molto spesso” sono presente le cosiddette imprese “cartiere”, priva di struttura produttiva e organizzativa, che emettono fatture per operazioni inesistenti assicurando ad altre imprese il conseguimento di indebiti vantaggi fiscali. “Una caratteristica tipica, riscontrabile anche nelle segnalazioni di operazioni sospette, è la durata breve del ciclo di vita delle cartiere, per la quale, tuttavia, non sono stati individuati ancora specifici parametri temporali di riferimento”, recita il rapporto.

Il lavoro dell’Unità si basa sulle segnalazioni di operazioni sospette da parte dei soggetti obbligati (nel 2023 sono state 150.418, 5.008 in meno, ovvero il 3,2%, rispetto all’anno precedente). Dunque, non può tenere conto dell’altra faccia della medaglia: il fenomeno dell’underground banking, il cui dilagare è stato messo in luce a inizio anno dall’operazione Fast & Clean della Guardia di Finanza. 

Si tratta di banche occulte al servizio dell’economia illegale che, tramite una struttura organizzata e complessa, sono in grado grado di trasferire e riciclare somme miliardarie e di utilizzare provviste di denaro contante, non tracciato, per la restituzione di parte degli importi dalla stessa bonificati all’impresa destinataria delle fatture false. Ecco i numeri di quell’operazione Fast & Clean, coordinata dalla Procura di Ancona: in due anni un giro di fatture false da circa 1,7 miliardi di euro, 140 società fantasma, ora cancellate, che le emettevano per permettere a imprenditori italiani e cinesi di ripulire denaro che veniva trasferito all’estero e poi rientrava in contanti tramite corrieri. Un giro di evasione fiscale da circa 2 miliardi di euro. Il gip Carlo Masini aveva però osservato nell’ordinanza di sequestro preventivo che, “sebbene ampia”, l’indagine “non è risolutoria del fenomeno criminoso individuato”. Infatti, aveva scritto ancora, “oltre alle imprese cartiere oggetto d’indagine”, ne esistono “altrettante che possono provocare evasioni assimilabili, come nel caso di specie, ad importi rilevabili in un’intera manovra finanziaria”, ovvero una trentina di miliardi di euro.

Del fenomeno si legge anche nella relazione della Direzione investigativa antimafia sull’attività svolta nel primo semestre dell’anno scorso, pubblicata la scorsa settimana, che sottolinea l’intreccio tra criminalità organizzata italiana e le consorterie cinesi in attività come evasione fiscale e narcotraffico. Per esempio, il documento cita un’altra operazione, Cash Express, conclusa a Roma il 22 marzo dell’anno scorso dalla Guardia di Finanza, sullo “strutturato circuito di riciclaggio internazionale”, che ha visto coinvolti soggetti appartenenti alla comunità cinese e soggetti di nazionalità italiana, a cui risultavano riferibili diverse società di capitali utilizzate per dissimulare i proventi delle frodi fiscali. In particolare, si legge, “alcuni appartenenti alla comunità cinese, stanziati a Roma, si sarebbero resi disponibili a ricevere illecite provviste di denaro e a trasferirle in Cina, tramite canali bancari, per poi riconsegnare le somme in contanti ai committenti italiani, decurtate della provvigione per il ‘servizio’ prestato, portando a termine tali complesse operazioni”. È il sistema di compensazione noto come fei ch’ien, meccanismo del “denaro volante”. Così viene descritto nell’ultima relazione dell’intelligence: “Una tecnica finanziaria illecita che consente il trasferimento virtuale di denaro all’estero, senza che lo stesso lasci fisicamente il Paese di partenza”. È soltanto un pezzo del sistema cosiddetto underground banking, banche occulte al servizio dell’economia illegale che grazie a una struttura organizzata e complessa trasferiscono e riciclano somme miliardarie, anche nel mondo dei crediti d’imposta.

Uno scenario complesso che richiede sempre maggior collaborazione tra forze di polizia, intelligence e magistratura.



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