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Ridare dignità al lavoro operaio. Il messaggio di Cucinelli al premio Einaudi

L’edizione 2024 del premio Einaudi è stata attribuita all’imprenditore del cachemire, Brunello Cucinelli. A consegnare l’onorificenza il presidente e il segretario generale della fondazione, Giuseppe Benedetto e Andrea Cangini. A seguire, la lectio magistralis dell’imprenditore tra ricordi d’infanzia, visione sul futuro e salvaguardia del made in Italy e del lavoro operaio

La classe operaia torni in paradiso. Non è il formidabile Gian Maria Volontè, con la tuta da fabbrica a parlare ai suoi “compagni”. È invece “l’imprenditore illuminato” Brunello Cucinelli che, nella sala Malagodi della fondazione Luigi Einaudi, ieri ha ritirato l’omonimo premio dalle mani del presidente Giuseppe Benedetto e del segretario generale, Andrea Cangini.

Quello che lancia l’imprenditore di Solomeo è un messaggio fortissimo, nella casa del liberalismo. “Bisogna tornare a dare dignità al lavoro operaio”, dice Cucinelli rivendicando il ruolo dell’Italia nel comparto manifatturiero. “Basterebbe – dice – che le imprese destinassero l’1% del profitto ai propri operai e sarebbe tutto molto più giusto. Più etico”.

In tempi in cui la parola “sostenibilità” permea – talvolta stucchevolmente – il dibattito pubblico, il re del cachemire la declina a modo suo, anteponendo quella “morale” a tutte le altre. Nel nome di Augusto. Sì, l’imperatore.

È una lectio magistralis sui generis. Cucinelli accarezza ricordi di infanzia “quando non avevamo soldi, ma eravamo felici”, balzando ai discorsi di vita al bar del Paese. “La vera università della vita, dove mi sono appassionato alla filosofia”. Ma non quella spicciola, quella di Kant.

La sua filosofia di vita ha entrambi gli occhi proiettati al futuro. Parla dei giovani, si rivolge direttamente a loro, usando l’escamotage dei “nostri figli, i nostri nipoti”. “Le nuove generazioni – scandisce – hanno il sacrosanto diritto a sperare, a credere nei grandi ideali e a coltivare i valori fondamentali dell’umanità. Il mio più sincero auspicio, allora, è che i nostri amati giovani possano sostituire la paura con la speranza poiché una vita che ne è priva non ha alcun senso”.

Insomma, in un periodo oscuro come quello che stiamo vivendo, in termini di elaborazione di pensiero critico, Cucinelli scompagina la prospettiva e fissa come priorità quella di “tornare a investire sugli ideali” perché “l’Italia è vista con occhi speciali dal mondo”.

Non è una litania autocelebrativa, ma la presa di coscienza di un patrimonio straordinario di sapere. Meglio, di saper fare: made in Italy, di cui lui in qualche modo è al contempo custode e alfiere.

Ed ecco il motivo per il quale Cucinelli insiste sull’esigenza di “restituire dignità, anche morale, al lavoro operaio”. Superando i pregiudizi piccolo borghesi che hanno attecchito in maniera pervasiva nel paese “in cui tutti vogliono fare gli impiegati”. D’altronde, osserva con una nota amara l’imprenditore, “vorremmo sempre che fossero i figli degli altri a fare i camerieri e gli operai”.

A proposito del premio, Cucinelli attinge ancora una volta a piene mani ai ricordi dell’infanzia, sotto lo sguardo partecipe del ministro della Giustizia, Carlo Nordio seduto poco distante dalla deputata di Italia Viva, Maria Elena Boschi. “Ricordo che quando morì Einaudi – racconta Cucinelli – in famiglia mi dissero che era morto un uomo perbene. Un galantuomo”. Due caratteristiche che per lui – al vertice di un’azienda, eccellenza mondiale – restano i principali discrimini. Una bussola.

“Il consiglio di amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi – così il presidente Benedetto – ha conferito il riconoscimento, nella sua quarta edizione, allo stilista umbro, fondatore dell’omonimo brand, eccellenza del made in Italy nel mondo, in ragione della coerenza di una vita spesa nella diffusione di alti principi etici di libertà e responsabilità nel solco degli insegnamenti di Luigi Einaudi”.

Le conclusioni spettano al segretario Cangini, che nel leggere alcuni tra i passaggi più significativi della pergamena che è stata consegnata a Cucinelli, ha tratteggiato i contorni di un “campione del made in Italy” che coniuga “visione e responsabilità” nella gestione dell’azienda anche promuovendo, per i dipendenti, “il giusto equilibrio fra lavoro e tempo libero”. Insomma, un imprenditore che si ispira e mette in pratica il “metodo liberale”. Perla rara. Dunque, la mezza pera – il premio Einaudi – è più che meritata. Nel nome di Flaiano.



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