Al G7 si materializza l’intersezione tra sfera economica e relazioni internazionali. Il gruppo lavora su come gestire le attività malevole di Russia e Cina (con particolare attenzione al loro allineamento)
Il cinquantesimo summit tra leader del G7 ospitato in Puglia arriva in un contesto in cui le relazioni internazionali sono sempre più interconnesse alla sfera economica, e i Paesi stanno dando priorità alla sicurezza nel proteggere scambi commerciali, sviluppo industriale, investimenti.
Il confronto tra potenze è la questione centrale al momento, con Stati Uniti e Cina che dominano la scena e un gruppo di Paesi — tra tutti gli europei — che cerca di collocarsi in funzioni di interessi e visioni del mondo comuni. E il G7 sta sempre più diventando il riferimento per implementare quelle visioni che accomunano il gruppo, non solo per i membri ma anche per una serie di attori esterni.
Allo stesso tempo, altri attori la cui standing internazionale è in crescita guardano al G7 con estremo interesse e — come è il caso di India, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Unione africana — non disdegnano l’invito a partecipare alle riunioni del gruppo, pur non vincolandosi in ottica bipolare, ma auspicando la costruzione di un reale sistema multi-polare delle relazioni internazionali, che possa soddisfare i loro desideri di essere multi-allineati.
Al G7, il blocco interno più consistente arriva ammaccato: in Europa, i partiti di estrema destra — che in genere hanno linee più protezionistiche legate alle visioni nazionalistiche e hanno mostrato posizioni più amichevoli nei confronti della Russia o della Cina — hanno ottenuto guadagni significativi in Francia, Germania e Italia alle elezioni del Parlamento europeo. Inoltre, tre — Francia, Regno Unito e Stati Uniti — dei sette membri del gruppo si stanno preparando per le elezioni parlamentari o presidenziali: momento di alto respiro democratico, ma anche di estrema delicatezza per gli equilibri interni (per questo concentra le attenzioni su quelle capitali). Questo insolito contesto politico significa che i leader americani, britannici e francesi saranno in modalità wait-and-see, mentre aspettano di conoscere i loro destini politici: di conseguenza, è improbabile un progresso sostanziale su questioni chiave, ragiona Agathé Demarais, che è a capo della Geoeconomics initiative dell’Ecfr.
Uno dei grandi argomenti sul tavolo pugliese sono le misure da adottare riguardo alla Cina. A maggio, gli Stati Uniti hanno imposto nuove tariffe del 25-50% su una vasta gamma di beni cinesi, tra cui batterie, pannelli solari e semiconduttori; hanno anche imposto un dazio del 100% sui veicoli elettrici (EV) Made in Prc. Nel frattempo l’Ue dovrebbe annunciare l’esito di un’indagine anti-sovvenzioni sulle case automobilistiche cinesi nei prossimi giorni, e si parla di una possibile tariffa europea del 20-30% sui veicoli elettrici cinesi. “Tale prospettiva è probabilmente snervante per Pechino: l’Ue è il più grande mercato di esportazione per i veicoli elettrici cinesi, assorbendo circa il 40% delle spedizioni cinesi”. E gli Stati Uniti sperano che la loro tariffa al 100% sui veicoli elettrici costringerà l’Ue a seguire l’esempio (e magari andare anche oltre). “Questa strategia audace potrebbe funzionare. È improbabile che l’Europa goda di avere il braccio attorcigliato da Washington, ma il blocco si preoccuperà anche che i produttori cinesi di veicoli elettrici possano raddoppiare la loro spinta a dominare il mercato europeo ora che hanno perso l’accesso a quello degli Stati Uniti”, spiega Demarais.
Un altro grande argomento è la Russia: c’è stato un periodo — dal 1997 al 2014 — in cui la presenza di Mosca nel forum, ai tempi del G8, era considerata un importante metodo per tenerla in qualche modo agganciata a un fantomatico sistema unipolare occidente-centrico, dove l’unico obiettivo era la crescita economica collettiva e la prosperità. L’esclusione russa di dieci anni fa si lega con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina (nel Donbas e in Crimea), primo segnale di come le questioni geopolitiche avrebbero definitivamente intaccato la sfera economica e di come le volontà strategiche dei governi non fossero unicamente legate al denaro. Elemento confermato dall’inizio dell’invasione russa su larga scala, nel febbraio 2022, quando Mosca era perfettamente consapevole che le sanzioni economiche avrebbero complicato la sua economia (le file per cambiare rubli con dollari ed euro sono tra le notizie di questi giorni, per esempio). Ma questo non ha mai impensierito Vladimir Putin, perché il suo disegno strategico per il futuro bypassa il momento economico.
Alla fine di maggio, il vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Daleep Singh, ha lasciato intendere che l’amministrazione statunitense sta prendendo in considerazione sanzioni secondarie contro la Russia. Tale mossa cambierebbe il gioco e costringerebbe tutte le aziende di tutto il mondo a fare una scelta tra fare affari con la Russia o gli Stati Uniti (in questa fase, le sanzioni secondarie statunitensi colpiscono solo le transazioni relative alla difesa con la Russia). Il buy-in dall’Ue è improbabile, poiché il blocco ha sempre avuto riserve sulle sanzioni secondarie. “Tuttavia, tali misure saranno un argomento chiave per le discussioni Usa-Ue, soprattutto perché l’Europa sta finalizzando il suo 14° pacchetto di sanzioni sulla Russia”, spiega Demarais.
Mentre Unicredit si vede sequestrati oltre 400 milioni di euro in conti e proprietà per ordine di una corte di San Pietroburgo — come misura provvisoria a seguito di una causa che si lega alle sanzioni europee intentata da RusChemAlliance, joint venture tra Gazprom e Rusgazdobycha — sul tavolo del G7 c’è anche il discorso sulle riserve della banca centrale della Russia. I piani per sequestrare l’intera parte delle riserve valutarie russe denominate in Occidente ora sembrano discutibili (anche se le discussioni sono riservate per ore). Gli Stati Uniti hanno spinto per una confisca di tutti i 300 miliardi di dollari di attività, mentre l’Ue è preoccupata per i potenziali effetti a catena di un tale piano sulla stabilità finanziaria globale e sull’attrattiva dei titoli sovrani europei. Da Borgo Egnazia è arrivato intanto l’accordo politico sul prestito da 50 miliardi per l’Ucraina — ospite speciale con il presidente Volodymyr Zelensky — da rimborsare con i proventi generati dai beni confiscati a Mosca. Tutto sulla carta però, spiega Gianluca Zapponini, perché adesso bisognerà aggirare gli ostacoli tecnici e legali e mettere nel conto una reazione della Russia
Cina e Russia sono argomentazioni e preoccupazioni separate, ma anche collegate, e infatti al G7 continuano anche le discussioni sul sostegno di Pechino a Mosca. “Al di là delle dichiarazioni diplomatiche, non è chiaro in questa fase come i Paesi del gruppo intendano affrontare il crescente sostegno della Cina alla Russia”, commenta Demarais spiegando che le sanzioni finanziarie rimangono un’opzione. Tuttavia, tali misure sarebbero inefficaci se le banche cinesi che gestiscono transazioni sensibili tra Pechino e Mosca non avessero legami con strumenti finanziari occidentali come il dollaro Usa o lo Swift (il rolodex globale delle banche). “L’imposizione di sanzioni inefficaci probabilmente si ritorcerebbe contro, aumentando le false affermazioni cinesi e russe secondo cui tali misure sono inutili. Questo enigma illustra come la Cina stia trasformando gradualmente a prova di sanzioni la sua economia, che sta diventando sempre più immune all’economica statecraft occidentale”.