L’analisi della direttrice dello Iai dopo le decisioni prese in sede europea: “L’Italia, più che una valutazione di merito, credo debba fare una valutazione sull’esito del voto. Tutti gli altri che hanno votato a favore pensavano che questo trio rispecchiasse il loro interesse, evidentemente gli unici due Paesi che non la pensano così sono Italia e Ungheria, quindi non possono che essere questi i Paesi che hanno perso”
“Giorgia Meloni è stata maker, finché ha mantenuto un’ambiguità che è stata un po’ la sua strategia, ma arrivata ad un certo punto ha dovuto fare una scelta. E in realtà, bisogna ammetterlo, non c’è mai stata una buona opzione per lei. Dal Consiglio europeo se l’Ue ha vinto, Italia e Ungheria hanno perso”. Questa l’opinione di Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto affari internazionali.
Chi vince e chi perde dal Consiglio europeo?
Vince innanzitutto l’Europa, nel senso che stiamo parlando di tre figure che provengono da geografie diverse e da famiglie politiche diverse ma che hanno in comune la liberaldemocrazia e lo Stato di diritto. Tante belle cose che, come sappiamo, sono in pericolo e sono in pericolo soprattutto alla luce dell’ascesa delle destre. Inoltre hanno in comune il fatto di credere nell’integrazione europea e anche questo aspetto dovrebbe essere assodato, ma alla luce dei vari sovranismi in giro per l’Ue non lo è affatto. Anche in politica estera hanno in comune il posizionamento sulla guerra in Ucraina, che non era affatto scontato alla luce dei vari movimenti politici interni all’Unione.
Chi ha perso?
Tutti gli altri hanno votato a favore e ovviamente l’Italia e l’Ungheria no. La vera domanda è se l’Italia farà la fine dell’Ungheria. Diciamo che l’Ungheria oramai, che sia nell’Unione europea, che sia nella Nato, è in assoluto lo Stato che tra virgolette lascia il tempo che trova. L’Italia, più che una valutazione di merito, credo debba fare una valutazione sull’esito del voto, nel senso che evidentemente tutti gli altri che hanno votato a favore pensavano che questo trio rispecchiasse il loro interesse. Evidentemente gli unici due Paesi che non la pensano così sono Italia e Ungheria, quindi non possono che essere questi i Paesi che hanno perso.
Al di là dei numeri, il discorso dei caminetti è un tema oggettivo sul tavolo?
Penso sia stato un pretesto politico: mi chiedo se attorno a quel caminetto ci fosse stata pure Giorgia Meloni, lei si sarebbe lamentata? C’erano i rappresentanti che peraltro sono capi di governo democraticamente eletti che in qualche modo rappresentano anche le famiglie politiche che costituiscono la maggioranza. Non riesco proprio a capire la logica del disagio: il problema non è il caminetto ma il fatto che il premier non era presente. Inoltre non capisco le parole di Salvini sul colpo di Stato dal momento che hanno votato 25 Stati su 27. Da qualunque prospettiva la si veda non si comprende la logica: l’Italia di certo non è uscita bene da questa vicenda.
Il Financial Times scrive che per von der Leyen non sarà una passeggiata. Ha ragione?
La vera la vera domanda non riguarda l’Italia ma l’eventuale appoggio dei Verdi a von der Leyen che naturalmente sarebbe ben felice di avere più voti possibile. Quindi laddove Fratelli d’Italia dovesse comunque votare assieme alla maggioranza, Ursula sarebbe più che felice. Ma i popolari non vogliono che i Verdi votino per von der Leyen, ma mica sta ai popolari decidere come votano i Verdi. È tutto molto bizzarro: perché sollevare il voto dei Verdi? Perché sappiamo che sono tra i perdenti di queste elezioni? Se vogliamo proprio dirla tutta, l’errore forse è stato piegarsi fin troppo a Meloni e von der Leyen ha usato una buona dose di opportunismo: l’ha fatto perché dal suo punto di vista voleva cercare di tendere una rete più ampia possibile. Sarebbe ingenuo da parte nostra non pensare che non abbia fatto altrettanto con i Verdi che a differenza di Ecr è molto più probabile che voti in blocco. Mettiamoci nei panni di von der Leyen, cosa preferisci? Lei non ha voluto scegliere, è Meloni che ha scelto per il no. O magari domani Meloni si ricrederà. È stata fin qui maker finché ha mantenuto un’ambiguità che è stata un po’ la sua strategia ma arrivata ad un certo punto ha dovuto fare una scelta. E in realtà, bisogna ammetterlo, non c’è mai stata una buona opzione per Meloni perché questo è il punto di fondo che non è stato sottolineato abbastanza.
Ovvero?
La scelta è sempre stata quella di essere un pesce piccolo nello stagno grande e essere magari influente, oppure un pesce grande della minoranza e quindi non essere influente sulle scelte. In realtà non c’era una scelta ideale, analiticamente devo riconoscere che in realtà non aveva delle buone opzioni. Da un punto di vista italiano naturalmente sarebbe stato molto più auspicabile un voto a favore, però da un punto di vista suo politico non ha mai avuto questa scelta.
Guardando alla composizione variegata del prossimo Parlamento europeo, la maggioranza che si sta componendo, e che comunque andrà pesata non sulle nomine ma sui dossier, sarà più fragile rispetto al quinquennio precedente?
Non penso. Sul tema climatico è stata completata un’agenda legislativa: è vero che non ci sarà un ulteriore innalzamento del livello di ambizione ma forse non ci sarebbe mai stato e comunque, non era nei piani o nelle ambizioni iniziali. I Verdi stessi adesso dicono no, perché anche noi ci rendiamo conto che bisogna compensare di più i perdenti della transizione per una transizione giusta, quindi io vedo in questo ridimensionamento dei Verdi una loro maggiore malleabilità. La vera questione tocca i popolari che in parte spingono per un allontanamento da quella maggioranza europeista. Se da un lato Forza Italia ha fatto comunque una campagna europeista, dall’altro la Lega fa parte di gruppi euroscettici: in questo senso Italia e Olanda hanno dinamiche simili.