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Da Tajani a Salvini e da Meloni a Schlein, le campagne social dei leader ai raggi X. I voti di Giordano

La campagna social di Salvini ha penalizzato sia lui che il candidato Vannacci, nonostante abbia fatto un boom di preferenze. Meloni con il video off-topic sulle ciliegie ha registrato un picco di visualizzazioni su Instagram e TikTok. Il Pd regge grazie agli amministratori, mentre la forza “tranquilla” di Tajani funziona. I social possono essere un antidoto contro l’astensionismo. E il silenzio elettorale va superato. Conversazione con lo spin doctor di Arcadia, Domenico Giordano

Il “fattore social”. A urne chiuse da un po’ e dopo un diluvio di analisi molte delle quali peraltro incentrate sulle motivazioni che inducono le persone a disertare le urne, è legittimo domandarsi se non sia il caso di ribaltare il luogo comune che identifica nelle piattaforme social un nemico della partecipazione democratica al voto. A guardarli da questo angolo di prospettiva è Domenico Giordano, spin doctor di Arcadia con il quale Formiche.net ha passato in rassegna le campagne social dei principali leader di partito in occasione delle Europee: da Giorgia Meloni a Elly Schlein, passando per Matteo Salvini e Antonio Tajani.

Partiamo dalla campagna elettorale del segretario del Carroccio che, differentemente dagli altri leader, non correva per se stesso ma aveva calato “l’asso Vannacci”. Che tipo di strategia ha adoperato?

Quella di Salvini è stata una campagna elettorale e, di conseguenza, sui social estremamente atipica. Almeno una volta ogni due giorni, sui suoi account, appariva un post con il generale Vannacci. È stata una campagna per interposta persona. E, nonostante il pieno di preferenze raccolto dal generale, è stata una scelta fortemente penalizzante.

Per chi?

Sia per Salvini che per Vannacci. Sul generale infatti, volutamente, è stato “scaricato” il peso del divario elettorale tra il 2019 e il 2024 ottenuto dal Carroccio e la sua candidatura è stata “zavorrata” da questa presenza pervasiva del segretario. D’altra parte, Salvini concentrandosi quasi esclusivamente su Vannacci ha trascurato altre candidature di lungo corso nella Lega.

Giorgia Meloni, invece, ha fatto il pieno. Oltre che di voti, anche di “like”. 

Il contenuto off-topic di Meloni sulle ciliegie è stato molto interessante. Alla domenica, quel video superava i quattordici milioni di visualizzazioni su Instagram e i cinque milioni su TikTok. Estremamente efficace.

Elly Schlein per ottenere il successo che ha avuto, che strategia ha adottato?

Ha adottato una campagna imperniata sostanzialmente sulla “normalità”. La mia lettura del successo personale di Schlein e del Pd più in generale è un po’ diversa rispetto a quella in voga. I dem sono usciti dalle urne rafforzati esclusivamente in virtù della forza degli amministratori che hanno fatto un boom di preferenze: da Decaro a Gori, passando per Bonaccini. Schlein, con la sua campagna social – orientata alla sobrietà – è sempre andata a ruota.

Non so quanto possa essere ascrivibile ai social, ma non c’è dubbio che Antonio Tajani (leader di FI) abbia avuto un buon posizionamento. 

Pochi l’hanno notato, ma la sua campagna ha funzionato perfettamente. Tanto nei social quanto fuori. Paradossalmente ha funzionato perché Tajani ha un atteggiamento estremamente distante rispetto a quello che aveva Silvio Berlusconi. Il suo essere in qualche modo “ordinario” sui social e comunicando contenuti estremamente rassicuranti, gli è stato molto utile. Ha funzionato.

In questa campagna, sui social, abbiamo visto di tutto in particolare dai candidati “minori”. Oltre il limite del ridicolo. Un modo di usare le piattaforme efficace ai fini elettorali?

Alcuni candidati erano consapevoli che, per ottenere l’effetto sperato – ossia la viralità dei contenuti sulle piattaforme – occorreva in taluni casi alzare l’asticella anche del ridicolo. E così è stato fatto. Sono stati prodotti anche dei contenuti originali, pur nella loro stravaganza. Paradossalmente, anche l’insulto è diventato una componente del posizionamento elettorale. Pensiamo alla “st..di Meloni” rivolto dal premier al presidente campano Vincenzo De Luca.

Siamo partiti dall’uso dei social nella campagna elettorale e come potenziale strumento che incentiva la partecipazione. A questo punto, un tema da porsi è l’effettiva utilità del silenzio elettorale prima del voto. Che idea ha lei in proposito?

Ribadisco che i social sono uno strumento che, in potenza, favorisce l’adesione al voto anche perché permette di raggiungere – virtualmente – tutte le persone, anche quelle che abitano in posti più remoti e che di norma non sono coinvolte da altre attività elettorali. Per cui, un uso corretto delle piattaforme, può essere un antidoto contro l’astensionismo. Detto questo, il silenzio elettorale, è un retaggio medievale. Non ha senso e andrebbe superato. Tanto più che i contenuti caricati sui social prima dell’inizio del silenzio, continuano a circolare ben oltre il limite, valicando le restrizioni. Per cui, a rimetterci, sono principalmente i media tradizionali. Non ha più senso di essere.


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