In un editoriale sul New York Times, Vivek Murthy ha messo in guardia sui rischi delle piattaforme per la salute mentale degli adolescenti. Per arginarli è richiesto il contributo di tutti: delle famiglie, delle scuole e soprattutto della politica, chiamata a legiferare al più presto
“Una delle lezioni più importanti che ho imparato alla scuola di medicina è stata che in caso di emergenza non si ha il lusso di aspettare informazioni perfette. Si valutano i fatti a disposizione, si usa il proprio miglior giudizio e si agisce velocemente”. Inizia così l’editoriale del capo della sanità americana, Vivek Murthy, che sul New York Times ha messo nero su bianco i pericoli e i rischi per la salute degli adolescenti generati dai social network. “La crisi della salute mentale fra i giovani è un’emergenza” a cui le piattaforme hanno dato un “importante contributo”. Vedere per credere: “Gli adolescenti che trascorrono più di tre ore al giorno sui social media corrono un rischio doppio di sintomi di ansia e depressione e l’uso medio giornaliero in questo gruppo di età, nell’estate del 2023, era di 4,8 ore. Inoltre”, continua il Surgeon General, “quasi la metà degli adolescenti afferma che i social media li fanno sentire peggio con il proprio corpo”. Per cui, così come è stato per tabacco e alcol, “è giunto il momento di chiedere un’etichetta di avvertimento”.
Avvertire del pericolo tuttavia non esenta dal finirci dentro. Ci sono diversi provvedimenti che secondo Murthy andrebbero presi per cercare di ovviare al problema, già sottoposti alla politica in una documentazione di un anno fa, ripresi anche dal sindaco di New York Eric Adams quando aveva definito i social come nemico della salute pubblica. Tutt’oggi sono ovviamente ancora valide. Bisognerebbe infatti impedire ai vari social di raccogliere dati sensibili dei più giovani, limitare alcune funzioni come l’autoplay, le notifiche push e lo scroll infinito che aumentano le interazioni. Le aziende dovrebbero inoltre accettare di condividere i dati sulla salute con degli scienziati e consentire analisi indipendenti: “Gli americani hanno bisogno di qualcosa in più delle parole. Abbiamo bisogno di prove”.
La messa in sicurezza passa però da tutti, non solo dalle grandi piattaforme social. L’educazione a un utilizzo responsabile deve passare da casa, con i genitori degli adolescenti che dovrebbero limitarlo per salvaguardare la vita sociale dei loro figli, imponendo degli orari e delle regole rigide – ad esempio, prima di andare a letto o durante i pasti non si usano dispositivi elettronici. E passa anche dalle scuole, con gli insegnanti chiamati a giocare un ruolo centrale, anche perché i genitori non sono grandi esperti. Allo stesso tempo, la comunità medica e soprattutto quella politica devono continuare a sensibilizzare su quanto l’emergenza sia reale e preoccupante.
Nonostante non esistano prove scientifiche che leghino l’utilizzo spropositato dei social network e il tasso dei suicidi, lo psicologo Jonathan Haidt considera l’uscita dell’iPhone come il momento in cui tutto è cambiato. Potrebbe essere, ma è anche vero che i problemi della società – crisi economica ed istituzionali, varie dipendenze e via dicendo – contribuiscono in larga parte alla depressione giovanile. Ad ogni modo, spiega il Surgeon General, dobbiamo pensare a questi guard rail per i social come l’airbag per le macchine: non devono per forza servire, ma nel caso è meglio averli. In questo senso, alcuni stati americani si stanno muovendo per regolare l’intelligenza artificiale e proteggere gli adolescenti dai rischi dei social.
Murthy ha promesso di collaborare con il Congresso affinché le sue avvertenze si possano tramutare in politiche in grado di ricordare “ai genitori e ai giovani che i social non si sono dimostrati sicuri”. Al Washington Post ha dichiarato come “ciò di cui abbiamo bisogno è un qualcosa di chiaro, che le persone possano guardare regolarmente”. L’Unione europea è certamente più avanti nella legislazione tech, ma “le misure che adottiamo negli Stati Uniti penso possano essere sicuramente quelle a cui altri paesi guardano quando pensano alla loro strategia per affrontare” il problema “della salute mentale dei giovani sui social media”.
La palla quindi passa alla politica. Come scritto, un’etichetta non è sufficiente per azzerare i problemi ma l’esempio del tabacco è un utile promemoria. Nel 1965 fu proprio un rapporto del Surgeon General consegnato al Congresso a smuovere le cose: l’uso di quel prodotto “potrebbe essere pericoloso per la salute”, veniva sottolineato chiedendo di mettere un’avvertenza sui pacchetti. Da quel momento la percentuale di fumatori in America è crollata dal 42% di allora all’11,5% di tre anni fa. Il gioco è valso la candela.