L’ambasciatore Li, segretario dell’International Cooperation and Development Fund di Taiwan, spiega Formiche.net perché Taipei dovrebbe essere parte della Comunità internazionale. Un processo che passa anche dal Communiqué del G7 che si terrà in Puglia a metà giugno
“Abbiamo davvero apprezzato le parole usate nel comunicato congiunto dopo il vero e G7 di Capri, e ora ci auguriamo che qualcosa di simile possa essere inserito anche nel Communiqué conclusivo dopo l’incontro tra leader di metà giugno”. L’ambasciatore Charles Chao-cheng Li, diplomatico di carriera e segretario dell’International Cooperation and Development Fund di Taiwan, ha parlato con Formiche.net a margine di un forum di discussione organizzato dal dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali nell’Università di Siena, in collaborazione con la rappresentanza di Taiwan in Italia guidata dall’ambasciatore Vincent Tsai.
Nel suo commento, Li si riferiva a questo esatto passaggio, che definisce “very powerfull”, inserito nello statement conclusivo dopo la riunione ministeriale Esteri del gruppo: “Ribadiamo l’importanza della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan come indispensabili per la sicurezza e la prosperità per l’intera comunità internazionale e chiediamo una risoluzione pacifica delle questioni attraverso lo stretto. Sosteniamo la partecipazione significativa di Taiwan alle organizzazioni internazionali, anche all’Assemblea mondiale della sanità e alle riunioni tecniche dell’Oms, come membro dove la statualità non è un prerequisito e come osservatore o ospite dove si trova”.
L’ambasciatore Li passava dall’Italia proprio prima di recarsi a Ginevra, per incontrare le delegazioni di alcuni dei Paesi che partecipavano alla riunione annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Taiwan rivendica da anni capacità ed esperienze qualificate che dovrebbero consentire il suo ingresso nel sistema internazionale, ma è costantemente ostracizzato dalla Cina – missione riuscita anche quest’anno. La ragione rientra in una strategia cinese, ampia e di lungo termine, per mantenere Taiwan marginalizzato dal resto della Comunità internazionale. Li spiega invece che l’obiettivo di Taipei è l’opposto: l’isola vuole dimostrare che può essere parte a tutti gli effetti del sistema internazionale multilaterale.
“Possiamo dire che le democrazie nel mondo dovrebbero parlare tutte la stessa lingua”, dice, aggiungendo che il mantenimento dello status quo nello Stretto di Taiwan è “un fattore di pace e prosperità globale”. Lo status quo significa riconoscere un’identità a Taiwan: mantenere un livello di autonomia sufficiente all’esistenza della Repubblica di Cina (esistenza negata dalla Repubblica popolare cinese) è un passaggio che si compie anche attraverso riconoscimenti come quello nell’Oms.
Nei giorni scorsi, come accennato, l’organizzazione ha negato l’invito a una delegazione taiwanese come osservatore della riunione annuale, status concesso tra il 2009 e il 2016, quando l’amministrazione di Taipei era guidata Ma Ying-jeou – presidente del Kuomintang, autore sotto la sua presidenza dei più importanti accordi commerciali e turistici con la Cina. Dal 2017, Pechino ha usato anche l’esclusione dall’Oms come forma di coercizione contro il mandato dell’autonomista Tsai Ing-wen, posizione reiterata per tutti questi sette anni e a maggior ragione adesso con Lai Ching-te, dato che l’attuale presidente si posiziona sulla scia di colei che l’ha preceduto (e di cui era vice). Anzi, Lai ha già messo in chiaro che uno dei grandi obiettivi della sua presidenza sarà la volontà di aumentare la rappresentanza internazionale di Taiwan.
“Dovremmo schierarci insieme e impressionare la Repubblica popolare cinese sulla pace e la stabilità e dobbiamo aver chiaro che è in ballo la prosperità della regione, perché la pace e la stabilità di Taiwan significano pace e la prosperità dell’Indo-Pacifico”, chiosa Li, che su questo sottolinea anche un recente passaggio italiano. La presenza di una delegazione partita da Roma per prendere parte all’inaugurazione di Lai — composta dai vicepresidenti del Senato Gianmarco Centinaio (intervistato a Taipei da Gabriele Carrer) e Licia Ronzulli, e dalla senatrice Daniela Ternullo — è stata “molto apprezzata dai taiwanesi”.
È il valore della cosiddetta “parliamentary diplomacy”. Questo genere di contatti guidati da gruppi di parlamentari creano legami, la rendono non isolata ma parte degli scambi internazionali. E anche per questo sono detestati dalla Cina. “Facciamo un sacco di attività per condividere le nostre esperienze e competenze in modo che la Comunità internazionale apprezzi di più il nostro contributo e vorremmo che vi venisse offerta l’opportunità: Taiwan non può solo aiutare, ma anche essere in qualche modo leader”, commenta Li.