I tempi a Francoforte sono ormai maturi per una prima sforbiciata, dopo quasi due anni di rialzi al passo con la Banca centrale americana. Ma se Christine Lagarde è pronta a tirare il freno, negli Stati Uniti un’economia e un mercato del lavoro decisamente più tonici sembrano allontanare ancora l’appuntamento con la retromarcia
Hanno marciato insieme per oltre due anni, ma ora è tempo di separare le loro strade. Banca centrale europea e Federal Reserve potrebbero, questo giovedì, rompere il sodalizio sui tassi. Dopo mesi di pressioni su Francoforte, l’ultimo invito a un allentamento della politica monetaria è arrivato lo scorso venerdì dal governatore Fabio Panetta, in occasione delle Considerazioni finali, il board convocato per il prossimo 6 giugno potrebbe finalmente dare la prima sforbiciata a un costo del denaro inchiodato al 4,5% dal luglio del 2022 (il tasso sui depositi è al 4%). La banca centrale americana aveva cominciato ad aumentare i tassi nel marzo di due anni fa, incassando l’allineamento della Bce quattro mesi dopo. Da quel momento nessuna delle due banche centrali aveva fatto marcia indietro.
I presupposti ci sono tutti. L’inflazione nell’eurozona viaggia intorno al 2,6% (dato di maggio), circa 0,6% punti percentuali sopra la soglia psicologica del 2%, il target su cui poggia il mandato politico della stessa Eurotower. I mercati non aspettano altro da mesi, se non altro per assistere a un primo ritorno della liquidità nell’economia reale, sotto forma di maggior accessibilità ai mutui e una riduzione del costo dei debiti sovrani. L’Italia ha tutto da guadagnarci, visto che la spesa per interessi sul debito si porta via decine di miliardi all’anno, soldi che potrebbero andare per esempio a finanziare parte della prossima manovra. Certo, tassi più bassi vuol dire anche rendimenti sui titoli meno appetitosi per gli investitori e dunque una potenziale minore domanda. Ma per il Tesoro è comunque un’operazione a saldo positivo, visto che la compressione degli interessi è comunque una delle priorità per un Paese con un debito che il prossimo anno sfonderà quota 3 mila miliardi.
La serie dei rialzi era iniziata il 27 luglio del 2022, quando i tassi hanno ricominciato a muoversi verso l’alto dopo essere rimasti per 11 anni a quota zero o addirittura negativi. C’era, allora, da smaltire il disastro dei mutui subprime che ha portato il sistema finanziario globale sull’orlo del collasso. Un cataclisma scongiurato solo grazie all’azione di governi ed autorità monetarie che si sono fatti carico dei debiti e hanno inondato il pianeta di denaro. Il peggio sembra passato ma non ne siamo ancora del tutto fuori.
Tuttavia, nel frattempo, la concomitanza di tantissima liquidità, scossoni della pandemia su domanda e offerta e ricadute della guerra in Ucraina sui costi delle materie prime hanno resuscitato l’inflazione. Che quando è alta diventa l’incubo di ogni banchiere centrale e, in particolare, di quelli della Bce, plasmati sulle visioni della Bundesbank tedesca. Con i prezzi surriscaldati, la Bce è stata costretta a muoversi nonostante l’economia della zona euro non marciasse proprio spedita come un treno. Nel giro di un anno i tassi hanno raggiunto, con una serie di ben nove rialzi, il 4,5%. L’ultimo aumento è del settembre 2023.
Ma se Christine Lagarde è pronta a tirare il freno, Jerome Powell, governatore della Fed, potrebbe decidere di lasciare il tassi fermi per il settimo giro consecutivo. Negli Stati Uniti il costo del denaro è al 5,50%, ma c’è un’attenuante. L’economia americana viaggia su livelli decisamente migliori di quella europea e il mercato del lavoro macina posti, proiettato verso la piena occupazione. Il che vuol dire una domanda di beni sostenuta, che spinge i prezzi al rialzo e la Fed alla cautela. E che a Washington non ci sia aria di tagli, lo hanno fatto capire anche gli stessi banchieri statali americani.
“Al momento, ritengo che l’ipotesi più probabile sia che lasciamo i tassi al livello attuale per un protratto periodo di tempo, fino a quando non vedremo molti più dati che, in un modo nell’altro, ci convinceranno che l`inflazione di fondo stia veramente calando”, ha affermato il presidente della Federal Reserve di Minneapolis, Neel Kashkari in una intervista al Finacial Times in cui fa capire di ritenere necessario un prolungato periodo di tempo sul mantenimento dei tassi a livello attuale. Una presa di posizione in vista della nuova riunione del direttorio sulla politica monetaria (Fomc) che si concluderà il 12 giugno e da cui non sono attesi tagli ai tassi.