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Tornano le potenze in Libia. Dopo la Russia, ecco la Cina

I porti libici tornano di moda. Ci sono gli scali in mare profondo di Tobruk e Susan che piacciono a Russia e Usa, mentre si affaccia la Cina. Profazio (Ndcf/Iiss): “C’è un ritorno della competizione strategica in Libia”

Secondo un sito di Bengasi, Saddam Haftar, figlio del capo miliziano che controlla la città della Cirenaica, Khalifa Haftar, nei giorni scorsi è stato a Roma per discutere di opportunità di investimento nell’est libico con businessman statunitensi. Il sito potrebbe non essere affidabile, e per ora nessuna delle fonti contratte da Formiche.net – né in Italia né negli Stati Uniti – può confermare la notizia.

Tuttavia, quello che è interessante, in un mondo in cui le informazioni sono costantemente alterate e indirizzate in funzione della narrazione, è proprio la dinamica dietro alla pubblicazione della notizia – che vale tanto quanto la sua veridicità, anzi a tratti la fa sembrare relativa. Perché un media basato a Bengasi (dove la famiglia Haftar esercita un controllo simil-mafioso, che va dalla presa militare al business nei traffici economici dell’area, a cominciare da quelli migratori) dovrebbe parlare dei contatti di Saddam Haftar con gli Usa?

Nelle ultime settimane quel lato della Libia è stato particolarmente sotto i riflettori internazionali per via di informazioni –in quel caso ben più veritiere, ma sempre fatte circolare col fine della narrazione – che raccontavano l’aumento del coinvolgimento russo in Cirenaica. Mosca, grazie agli accordi presi con gli Haftar (col padre in passato, e ora ereditati dai figli, parte attivissima del business famigliare), sta usando la Libia orientale come hub logistico-tattico per spingere la strategia dell’Afrika Corp – come adesso viene chiamato il surrogato del Wagner Group, rientrato a tutti gli effetti sotto la gestione del ministero della Difesa dopo la morte di Yevgeny Prigozhin.

Per dire, ieri è atterrato all’aeroporto di Benina, Bengasi, Yunis-Bek Yevkurov, viceministro della Difesa russo, accolto da Khaled Haftar, che è considerato il punto di legame della Russia in Libia. Un ruolo che spesso è raccontato in competizione con quello di Saddam, più incline al dialogo con gli americani. Come in ogni famiglia di potere all’interno c’è una lotta per la successione — e tutti cercano appoggi esterni per la propria legittimazione.

In mezzo a questo contesto, la domanda è: il fantomatico contatto romano di Saddam Haftar magari è stato usato dal figlio pro-Usa per darsi spinta nella competizione intra-famigliare, oppure serve per raccontare un riequilibrio di questa eccessiva esposizione del signore della guerra dell’Est libico verso la Russia? Secondo Umberto Profazio, analista dell’IISS e della Nato Foundation, non c’è da sorprendersi se fosse tutta una manovra informativa per dimostrare interesse alle relazioni degli americani, dopo che da anni AfriCom ha messo nel mirino le attività haftariane con la Russia.

“In ogni caso rivela la volontà di cercare di giocare su più fronti. È interessante notare che c’è un ritorno della competizione strategica in Libia. che in questa fase multipolare si intensifica laddove c’è un vuoto, una carenza, interna come nel Nordafrica o il Sahel: e la Libia è uno degli interessi principali di una sfida che riguarda particolarmente l’Europa e soprattutto l’Italia”, commenta Profazio. Che sottolinea comunque come la questione è anche di politica interna libica, “dove la partita è anche legata alla successione di Khalifa: cercano strade diverse, uno dei figli, Belqasim Haftar, sta per esempio mettendo in piedi un fondo per la ricostruzione della regione (colpita in modo tragico dal ciclone “Daniel”, ndr), altro più attivi nelle attività della loro milizia e in certi rapporti con l’esterno”.

Non bastasse la situazione generale, questa della famiglia Haftar è un altro problema per la Libia, anche perché mette sul tavolo diverse questioni. Per esempio, in questo momento in cui la geopolitica marittima sta tornando centrale per gli equilibri tra Paesi mediterranei ed extra regionali, anche la Libia ha un suo valore. In particolare, si parla del porto di Susah, un tempo tra le città della Pentopoli Cirenaica e scalo commerciale (come porto di Cirene) già dai tempi dell’antica Grecia. La società texana Guidry Group aveva già messo le mani sul contratto per costruire un porto di acque profonde da un paio di miliardi di dollari a Susah, che dovrebbe diventare uno scalo container multiuso, facendone l’hub logistico deep-sea più grande della regione, visto che si prevede che gestirà 1 milione di TEU nella prima fase.

Ma era un periodo precedente all’attuale: l’accordo risaliva al 2012, lo studio di fattibilità al 2013 e successivamente – con l’esplosione della prima fase del conflitto interno che da dieci anni divide il Paese e di cui gli Haftar sono da sempre protagonisti – il percorso si era complicato. Un piano generale era riemerso nel 2018, nominato tra i migliori progetti durante il Global Infrastructure Forum di Montreal, ad agosto. Sette mesi dopo, Haftar lanciava il più importante assalto a Tripoli: aiutato anche dai russi, intendeva rovesciare il governo onusiano guidato ai tempi da Fayez Serraj. Successivamente, un anno dopo il fallimento del piano militare haftariano, nella primavera del 2021 c’era stato un rilancio dell’idea del porto di Susah, con un accordo di joint venture su lungo termine tra Guidry Group e la greca Archirodon.

Investire in opere infrastrutturali in Libia era un progetto complicato ai tempi come adesso, anche se l’incontro romano sarebbe servito a rilanciare il business e progetti come Susah, stando alle informazioni di Agenzia Nova ottenute da una fonte anonima in Cirenaica. Tra i businessman incontrati da Saddam infatti ci sarebbe stato anche il capo del Guidry Group. 

In questi giorni l’attività di ricerca di investimenti è diffusa anche sull’altro lato della Libia. Il primo ministro Abdelhamid Dabaiba ha lasciato Tripoli per partecipare al China-Arab States Cooperation Forum di Pechino, e ha avuto uno slot riservato con il capo della politica estera del Partito/Stato cinese, il ministro degli Esteri Wang Yi. Si è parlato della riaperta dell’ambasciata tripolina e dell’attivazione di accordi economici rimasti parcheggiati a causa della destabilizzazione. Anche la Cina è interessata ad avere un posto (e un porto) nella ricostruzione libica. Quando sarà, perché ancora il processo è lontano, visto che il Paese è di fatto diviso in due, con Dabaiba che governa secondo un mandato Onu scaduto da un paio di anni, ma non c’è capacità di rimuoverlo.

L’altro mezzo Paese è sotto un esecutivo informale (e non riconosciuto) guidato da Osama Hammad e militarmente pressato da Haftar. Il sostegno diplomatico-militare che gli fornisce Mosca è legato a un interesse composito, che passa anche dalla dimensione portuale: i russi infatti ambiscono a Tobruk, un altro scalo in acque profonde, che diventerebbero un ulteriore punto di appoggio nel mezzo del Mediterraneo, dopo Tartus in Siria. Tobruk si trova a circa 200 chilometri da Susah. Gli interessi delle grandi potenze si incrociano.

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