Il fatto che un personaggio così “ingombrante” sia stato riconosciuto colpevole è indice della forza dello stato di diritto negli Usa. Ma se da una parte è legittimo che la giustizia faccia il suo corso accertando eventuali responsabilità del leader repubblicano e sanzionandolo di conseguenza, dall’altra politicamente il rischio è che i guai giudiziari di Trump vengano utilizzati per fomentare le divisioni e le tensioni in una società che è già molto divisa e fratturata
All’indomani del verdetto della corte di New York, che ha riconosciuto Donald Trump colpevole di ben 35 capi di imputazione nell’ambito della vicenda relativa all’occultamento del pagamento alla pornostar Stormy Daniels, sono moltissimi gli spunti di riflessione. Infatti, nonostante si tratti di reati tutto sommato minori (è molto probabile che l’ex presidente non venga condannato al carcere ma al semplice pagamento di una sanzione pecuniaria), l’evento accaduto è di proporzioni storiche e potrebbe avere conseguenze dirompenti dal momento che mai – prima di ieri – un ex presidente era stato condannato da un tribunale.
Cerchiamo innanzitutto di sottolineare gli aspetti positivi di questa vicenda: il fatto che un personaggio così “ingombrante” sia stato riconosciuto colpevole è indice della forza dello stato di diritto negli Usa. Lungi dal voler sostenere gli attacchi lanciati da Trump contro Biden all’uscita dall’aula, rivolti alla propria base elettorale e finalizzati a trasformare la propria figura in quella di un perseguitato politico, il verdetto di giovedì testimonia come nessuno negli Stati Uniti possa sentirsi al di sopra della legge. Dunque, al di là delle inclinazioni politiche di ciascuno, è positivo constatare la solidità delle istituzioni americane, anche in vista di possibili derive anti-sistema che in un clima politico sempre più polarizzato non si possono purtroppo escludere.
E veniamo quindi alle note più preoccupanti di quanto accaduto. Trump non avrà difficoltà a strumentalizzare la propria condanna e anche a capitalizzare consensi in maniera crescente, se si pensa che i processi più “pesanti” (quello per i presunti tentativi di manipolazione del risultato delle Presidenziali nel 2020 e quello per l’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021) devono ancora cominciare. Da una parte, se è legittimo che la giustizia faccia il suo corso accertando eventuali responsabilità del leader repubblicano e sanzionandolo di conseguenza, dall’altra politicamente il rischio è che i guai giudiziari di Trump vengano utilizzati per fomentare le divisioni e le tensioni in una società che è già molto divisa e fratturata. Evocare scenari da “guerra civile” sembra davvero eccessivo, proprio perché le istituzioni americane hanno dimostrato di avere ancora gli “anticorpi” necessari contro eventualità di questo tipo. Ma la sindrome da “prigioniero politico” su cui Trump potrebbe fare leva rischia di avvelenare ancora di più un clima che non fa di certo bene alla salute della democrazia statunitense.
Che accadrà, dunque? Trump andrà avanti per la sua strada con determinazione crescente, anche perché la legge americana gli consente di essere eletto presidente anche in caso di condanna. Una sua rielezione (molto probabile secondo i sondaggi) darebbe vita ad una situazione quasi paradossale, con un presidente condannato che sarebbe persino in grado di auto-concedersi la grazia. Una simile eventualità avrebbe conseguenze dirompenti per la tenuta delle istituzioni democratiche Usa, influenzando inevitabilmente anche la posizione internazionale degli Stati Uniti e i rapporti con i principali alleati.
Certamente nei prossimi mesi non ci sarà modo di annoiarsi a seguire la campagna elettorale di Trump e la competizione con Joe Biden. C’è da dire che, a questo punto, le vicende giudiziarie del presidente Berlusconi che negli anni scorsi hanno condizionato il dibattito politico italiano appaiono un pallido riferimento rispetto allo scontro del candidato presidenziale Trump con il potere giudiziario americano che andrà in scena nei prossimi mesi.